Rassegna Stampa Libraria – 21 febbraio 2021
Da quanto tempo usiamo internet? È dagli anni ’90 del secolo scorso che, in maniera progressivamente crescente, il World Wide Web è diventato il nostro luogo abituale. Ha sostituito la frequentazione di luoghi concreti, fisici, con la frequentazione di luoghi digitali, astratti, nei quali però si svolgono le numerose condotte che riguardano la nostra vita, sia professionale che personale. A distanza di circa un trentennio scarso, le promesse di una zona franca, senza confini, apertamente democratica e paritaria, sono rimaste tali. Anzi, la realtà che si è costituita si profila in maniera nettamente contraria alle aspettative.
È molto diretto Stefano Folli, mentre recensisce il volume di Lorenzo Castellani dal titolo L’ingranaggio del potere (Liberilibri): «il tecnocrate, seguendo la sua natura, vuole disciplinare la vita collettiva sradicando quante più opportunità di scelta possibili» (Robinson, la Repubblica 20 febbraio ’21). Ed altrettanto chiaro è Giorgio Barba Navaretti, nella sua recensione a Rivoluzione Globotica di Richard Baldwin (Il Mulino). Si sofferma, tra l’altro, sulla progressiva trasformazione, violentemente mansueta, delle professionalità in commodity. Cos’è una commodity? «Un bene non differenziato, facilmente commerciabile, dove l’individualità non conta più» (Domenicale, il Sole 24 ore 21 febbraio ’21). Un mondo digitale, astratto, che con la realtà non ha niente a che fare, se non nelle conseguenze che produce. Come rileva Marco Ventura mentre intervista Byung-Chul Han in occasione dell’uscita concomitante di due titoli: La società del dolore (Einaudi) e La scomparsa dei riti (Nottetempo). Testualmente: «Ho paragonato l’autosfruttamento neoliberale a un servo che prende la frusta dalle mani del padrone e frusta sé stesso per essere lui il signore, anzi per essere libero». L’intervista, che troviamo su La Lettura del Corriere della Sera 21 febbraio ’21, si chiude con questa lucida ammissione: «Oggi abbiamo perso la capacità di percepire l’Altro nella sua alterità. E l’Altro, privato della sua alterità, si lascia solo consumare».
Va bene, ci eravamo sbagliati. Uno svarione clamoroso, da autentico stato adolescenziale quale quello del giovane Pie, il personaggio dell’ultima fatica di Amélie Nothomb, Gli aerostati (Voland), che dona giudizi taglienti e affrettati quanto malaccorti (Le lezioni di Amélie, di Daria Galateria, Robinson). Ma, certo, l’adolescente sbaglia per mancanza di maturità, anzi proprio per il farsi della maturità futura. È proprio nel percorso, durante il farsi del viaggio verso la miglior consapevolezza, di vera comprensione e di testimonianza che ci soccorre la narrazione, che diventa letteratura. Nella pluralità delle sue voci, a volte autentiche, ci restituisce innumerevoli prospettive in alcune delle quali potremo riconoscerci, comunque sempre confrontarci. In questo senso, attualmente esemplari si presentano titoli quali Il pioppo del Sempione di Giuseppe Lupo (Aboca edizioni) recensito da Salvatore Silvano Nigro sul Domenicale de il Sole 24 ore, in cui si manifesta con vitalità la funzione principale del narrare; nel raffronto identitario e generazionale che Miriam Toews pratica attraverso la scrittura del suo Swing Low (Marcos y Marcos) recensito da Vanni Santoni su La Lettura; nelle sensibilità, nelle silenziose presenze degli universi culturali nordici delle letterature scandinave, proposte da Angelo Ferracuti su La Lettura; oppure nella piena invenzione narrativa di Io sono Gesù di Giosuè Calaciura (Sellerio) recensito da Demetrio Paolin su La Lettura. Invenzione narrativa che si trasforma nell’invenzione d’immagine del pittore austriaco Markus Schinwald. Immagini che si prestano a rilanci narrativi di molteplici possibili, che inducono al racconto interpretativo. Dipinti esposti presso la sede della Fondazione Coppola di Vicenza, in una mostra presentata da Gregorio Botta su Robinson. Immagini che rimandano ad un universo letterario, come specchi deformanti che, a volte, dicono la verità. Alla stregua dell’orologio fermo che, due volte al giorno, indica comunque l’ora esatta. Morfologie immaginarie, paesaggi letterari e mentali in cui, come ci insegnano Federico Vercellone e Salvatore Tedesco nel loro Glossary of Morphology (Springer, Berlino) «Ogni conoscenza è anche e sempre auto-riconoscimento» (Forme e paesaggi che aiutano a capire, Mauro Ceruti sul Domenicale). Una conoscenza che in alcuni casi può scavalcare i millenni, nella proiezione del futuro nel lontano passato, nel recupero degli antichi papiri ritrovati a Ercolano (e ancora si conferma fondamentale la tecnologia della scrittura e del libro) di cui rende nota Marco Nese su La Lettura del Corriere della Sera.
Andrea Oddone Martin
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