Rassegna Stampa Libraria – 28 marzo 2021
È un’epoca, la nostra attuale, di urgenti sforzi di visione (e concretamente di pratiche) verso un futuro plausibile. L’intera struttura di pensiero che sorregge la società sta mutando alla velocità del virus, e da ben prima dell’epidemia del covid. Nel trentennio che ci precede, intere fasce sociali hanno assistito al graduale sgretolamento dei loro primari punti di riferimento: culturali, civili ed economici. Celermente, si avvicina il punto di non ritorno, molti di noi lo stanno già vivendo, nell’indifferenza di una società frantumata in categorie fintamente autonome: è necessario un ripensamento, che inizi con un’autocritica.
Come la lucida pubblicazione di Luca Ricolfi, La notte delle ninfee (La Nave di Teseo) dedicata alla gestione della pandemia. Ne scrive un’appassionata recensione Stefano Folli su Robinson de la Repubblica. Oppure il concreto tuffo nel presente di Alec Ross, intervistato da Alessia Rastelli su La Lettura del Corriere della Sera. Oggi, considera Ross evitando la fallimentare autoindulgenza del politically correct, s’è rotto l’equilibrio tra governi, aziende e cittadini. Bisogna riscrivere il patto sociale. Di Alec Ross possiamo leggere, entrambi pubblicati da Feltrinelli, Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni e il prossimo (uscirà il 16 settembre) I furiosi anni Venti. Aziende, Stati, cittadini e la battaglia per il nostro futuro. Incontriamo un altro capitolo di riflessione nella conversazione, curata da Antonio Carioti su La Lettura, tra Adriano Prosperi, Marcello Flores e Paolo di Paolo. Di Paolo di Paolo, Svegliarsi negli anni Venti. Il cambiamento, i sogni e le paure da un secolo all’altro (Mondadori) e di Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. La distruzione del passato (Einaudi).
È necessaria un’autocritica, un ripensamento, dei valori fondanti della società e dell’espressione di essi attraverso l’arte. È ciò che Ugo Nespolo propone nel suo Per non morire d’arte (Einaudi), un testo che ripercorre le vicende di un’avanguardia dagli esiti controproducenti, e in cui descrive lo stato di fatto dell’arte odierna. (Vincenzo Trione su La Lettura). Anche i falsi storici che approfittano dell’ignoranza debbono essere compresi in un generale ripensamento, per considerarli veramente tali e, dati gli esiti nefasti, respingerli senza appello. Il volume dal titolo L’ebreo inventato. Luoghi comuni, pregiudizi, stereotipi a cura di Saul Meghnagi e Raffaella di Castro (Giuntina) si affida ad autori competenti e rivela gli inganni e le contraddizioni delle opinioni generaliste.
Ma un ripensamento, per risultare profondo, non può evitare la dimensione intima della prossimità, della testimonianza diretta, del proprio nucleo famigliare, dei nostri ricordi autobiografici. Susanna Limentani scrive ed autoproduce il volume Opporsi alla conversione, con l’intento di «restituire dignità e memoria a questa donna forte, tenace, ostinata, consapevole del prezzo da pagare per la sua condotta, ma determinata nel restare fedele alla sua identità religiosa». La donna di cui sopra è Pacifica Citoni, una giovane donna ebrea vissuta nella Roma del XVII secolo, ne dà conto Edoardo Sassi con l’appassionata recensione che possiamo leggere su La Lettura. Memoria, introspezione e testimonianza, per ricostruire un futuro possibile anche per Diario di un amore perduto, di Eric-Emmanuel Schmitt (edizioni E/O, traduzione di Alberto Bracci Testasecca) nel personale perimetro dell’elaborazione di un lutto, oppure per Gli inquieti di Linn Ulmann, la testimonianza autobiografica della figlia di Ingmar Bergman (Guanda, traduzione di Katia Bagnoli). Interpretare le ragioni di eventi importanti nella formazione della propria persona, coinvolge inevitabilmente l’ambito famigliare e i suoi accadimenti. «Molti libri recenti» scrive Elisabetta Rasy sul Domenicale de il Sole 24 ore «ricostruiscono la vita di un genitore che non c’è più, non come omaggio o contestazione, ma come indagine su un’esistenza per capirla o semplicemente avvicinarla, o certe volte a perdonarla. Oppure si domandano qual è il senso della paternità e della maternità in una realtà in cui la gerarchia famigliare si è frantumata». Due i titoli della recensione di Elisabetta Rasy: Swing Low, di Miriam Toews (Marcos y Marcos, traduzione di Maurizia Balmelli) e Il lavoro di una vita di Rachel Cusk (Einaudi, traduzione di Anna Nadotti).
Un compendio di riflessioni, di saggi, di ordine particolarmente letterario prende spunto da un recente evento: il sessantesimo della fondazione della casa editrice Marsilio di Venezia. In questa occasione, esce il volume Moderno Antimoderno. Studi novecenteschi (Marsilio, a cura di Giuseppe Lupo) che inaugura la collana i libri di Cesare de Michelis. Lupo sul Domenicale: «Moderno Antimoderno di Cesare de Michelis rappresenta il punto di arrivo di un’indagine che ripercorre l’intero Novecento non in funzione celebrativa, ma per comprenderne gli esiti».
Ma sono due i grandi temi che si pongono di fronte all’intera collettività: l’emergenza ecologica e il riscaldamento globale. L’emergenza inequivocabile che comportano, sollecita la trattazione di uno dei pilastri di fondazione della nostra cultura, vale a dire il rapporto tra civiltà e natura. Segnaliamo la recensione di Stefano Mancuso sul Domenicale della raccolta epistolare intitolata Brevi lezioni di botanica, nella quale Rousseau fonda la successiva passione per la botanica, seguita peraltro anche da personalità quali, ad esempio, Johann W. von Goethe (edizioni Piano B, traduzione di Anna Faro). Segnaliamo inoltre un interessante titolo nel quali la natura assume il ruolo di personaggio attivo: La quercia di Bruegel di Alessandro Zaccuri (Aboca) recensito da Raffaella de Santis su Robinson. Ma anche La tentazione di Luc Lang (Clichy, per la traduzione di Tommaso Gurrieri), recensito da Emiliano Gucci su La Lettura. L’uomo di successo, un chirurgo ben inserito in società, per un improvviso rigurgito abbagliante che si infila tra le maglie strette della cortina narcotizzante da cui ci facciamo avvolgere, ritorna in sé e finalmente ricorda la sua vera posizione nella grandezza e nella magnificenza della natura. Smette di depredarla inutilmente e comincia a riflettere sulla propria realtà quotidiana.
Fino a quanto può spingersi innanzi nella propria trasformazione del reale una civiltà sempre più unicamente tecnologica, che ignora le polarità dei propri fondamenti? L’apprensione per le conseguenze dell’applicazione acritica delle procedure algoritmiche è ormai certificata e reale. A dire il vero, gli algoritmi non dovrebbero allarmarci: in sé, sono schemi di calcolo rigorosi che conducono a un risultato. Del resto sono antichissimi, i primi esempi sono ellenistici ma, dopo la regressione romana, hanno ricominciato a circolare in una lenta ma progressiva ripresa fin dall’alto medioevo. Come si diceva, sono le scelte di applicazione dei processi algoritmici, uniti allo sviluppo delle intelligenze artificiali e al digitale, a determinare conseguenze discutibili sia moralmente che eticamente (pensiamo per un attimo alle conseguenze del deepfake), in tutta la nostra vita. Ad esempio, possiamo indicare lo sviluppo delle armi, la sociologia del lavoro, la tutela ambientale, l’arte, la libertà personale, etc. Due testi introduttivi nella recensione di Danilo Zagaria su La Lettura: Nel paese degli algoritmi, di Aurélie Jean (Neri Pozza, traduzione di Elena dal Pra) e la raccolta di saggi curata da Francesco d’Abbraccio e Andrea Facchetti, AI & Conflicts (Krisis Publishing, traduzione di Elisabetta Rattalino).
Andrea Oddone Martin
© RIPRODUZIONE RISERVATA