Rassegna Stampa Libraria – 4 luglio 2021
Ormai dovremmo esserci: l’emarginazione almeno trentennale dal mercato editoriale (sempre più mercato, sempre meno editoriale) della critica letteraria impegnata ma non ideologica, della critica letteraria capace ma non istericamente mediatica, dovrebbe aver raggiunto il punto della risacca. Fin dai tempi più remoti la produzione del panorama culturale è sempre stata connotata dalla moltitudine qualitativa, ma numerosi critici letterari si occupavano molto di letteratura, ed esprimevano posizioni di sostanza. Poi la critica letteraria si è inabissata, sparendo dalla vista del pubblico che spazia sull’orizzonte e non si avventura in immersioni specialistiche. In Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura (Rizzoli) Walter Siti fa riemergere la critica letteraria appassionata e competente, che si rivolge al grande pubblico stimolandone la vivacità di pensiero e non l’assuefazione passiva. Ne scrive Alfonso Berardinelli sulle pagine del Domenicale de il Sole 24 ore. Riemerge da un passato non troppo passato una selezione di scritti di Jerome K. Jerome, curata da Chiara Voltini e pubblicati da Mattioli 1885, dal titolo Gli scrittori scrivono troppo? Condito da un’ironia pungente, il piatto proposto non risente del tempo trascorso e ci viene presentato da Marco Ostoni su La Lettura del Corriere della Sera.
I libri sono i luoghi del pensiero, a pensarci bene anche i musei lo sono. E presentano problematiche analoghe, come ravvisa Krzysztof Pomian nell’intervista che Vincenzo Trione pubblica su La Lettura. Pomian, autore dell’importantissima opera Il museo. Una storia mondiale, di cui il primo dei tre volumi esce ora in Italia per Einaudi (traduzioni di Luca Bianco e Raffaella Valiani), sottolinea il valore delle ragioni originarie dei musei e dei loro vizi attuali: come per l’editoria libraria, anche nelle attività museali l’incompatibilità tra inclinazioni all’intrattenimento e autentici obiettivi culturali, tra surrogati digitali e vere presenze, confonde e mistifica, disperde e allontana. Ed è indubbio che l’eventuale possibilità per un futuro plausibile della nostra società risiede proprio nella nostra capacità di relazionarci con onestà e lucidità alla nostra storia, come dimostra la medievista Marina Montesano nel suo Ai margini del medioevo. Storia culturale dell’alterità (Carocci). Franco Cardini, recensendo il titolo su il Domenicale, rimarca la non oggettività dell’alterità che viene invece determinata dalla prevalenza di coordinate sociali e culturali, nel “lontano” medioevo come oggi. Il titolo di gran successo nel regno Unito, Chi ha peccato di Anna Bailey (Feltrinelli, traduzione di Elena Cantoni) descrive proprio la distorsione psichica di una comunità ripiegata su se stessa, ignava e indecente; una cittadina dallo spiccato spirito apparentemente religioso ma egoista, escludente e persecutorio, che dalla comunità si riflette vicendevolmente nelle famiglie che la costituiscono. La recensione di Patrizia Rivoli su La Lettura.
E un altro titolo si occupa di denunciare l’ignavia della società moderna descrivendone la prospettiva a partire dai componenti di una comune famiglia. Con un tono comico e brillante, Andrew Ridker nel suo Gli altruisti (Guanda, traduzione di Silvia Pareschi) non ha timore di affrontare l’ambiguità della doppia morale e ci offre uno spaccato familiare da minimo comun denominatore. Recensione di Susanna Nirenstein su Robinson de la Repubblica. Sono infatti le famiglie a costituire prima la comunità e poi, di conseguenza, la società. Sono le componenti cellulari dell’organismo, a loro volta composte da pluralità, non sempre rispettate. Sono due i titoli segnalati che si concentrano su un argomento così importante. Il primo è I bambini sono calmi, di Kevin Wilson (Rizzoli, traduzione di Daniele Petruccioli) recensito da Michela Marzano su Robinson; il secondo è Neve d’ottobre di Angela Nanetti (Neri Pozza) recensito da Carmen Pellegrino su la Lettura. Ambedue queste narrazioni si incentrano sulla qualità delle relazioni che le famiglie attivano al loro interno causando sofferenze e distorsioni psicologiche, a volte per propria fatale disfunzionalità e spesso per mediare le esigenze inique della società che le circonda (ma le esclude di fatto, esigendo allo stesso tempo la finzione dell’inclusione) e le condiziona.
Come sempre, ci vien voglia di allargare la prospettiva e il bacino relazionale oltre al consesso umano, aggiungendo gli altri esseri viventi. Una visione edificante, colta ed intelligente è quella del norvegese Arne Næss (1912-2009), raccolta da Piano B nel volume Siamo l’aria che respiriamo. Saggi di ecologia profonda (traduzione di Andrea Roveda). La semplicità con cui Næss distingue e districa nuclei essenziali del pensiero contemporaneo, oggi confusamente bloccati, propone una misura ferma ma limpida a contrasto dell’ecologismo di maniera, banalmente punitivo. Recensione di Marco Belpoliti su Robinson de la Repubblica.
Andrea Oddone Martin
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