Rassegna Stampa Libraria – 7 febbraio 2021
Il coronavirus continua a segnare le nostre vite, a stimolare riflessioni sulla realtà. Ne dà esempio Mark O’Connell su La Lettura del Corriere della Sera, riportando assieme alle personali riflessioni alcune cronache della propria esperienza della pandemia che segue la stesura della sua ultima pubblicazione (Appunti da un’Apocalisse, il Saggiatore). Sempre su La Lettura, nell’intervista di Cristina Taglietti anche Richard Ford e Andrea Bajani si confrontano con la nuova consuetudine condizionata dalla gestione della pandemia in un dialogo a tre che, peraltro, ha il pregio di dichiarare le principali ragioni delle scuole di scrittura. Dalle analoghe virulente premesse del Decamerone boccaccesco, si è concretizzato un progetto editoriale degli editor del New York Times, una raccolta di racconti di vari autori ora tradotti e pubblicati da Nn Edizioni e intitolata Decameron Project; ne troviamo un’anticipazione su Robinson Libri de La Repubblica.
Come si vede, l’immaginazione del contesto attuale trova particolare connotazione in un presente fatto di cronaca, di descrizione: tenta di dare un contorno alle nuove o fino ad ora meno evidenti situazioni concrete. Ma, data la sconcertante sorpresa di una realtà ormai oggettiva, non può non somigliare al presente di una letteratura fantascientifica. Al genere della fantascienza, precisamente, è dedicata tutta la prima parte di Robinson Libri, ne segnaliamo l’articolo Pianeta Urania che Luciano Funetta dedica alla storica collana mondadoriana.
Immersi in un panorama i cui riferimenti si sfaldano (ma erano veramente così solidi come ci piaceva pensarli?) dominati dall’incertezza del momento, cerchiamo di dare un senso, di orientarci. Il nostro sguardo cerca affannosamente, si sofferma su condizioni mai contemplate, analizza situazioni mai considerate, traguardando mai più come ora una pluralità esistenziale che finalmente emerge come effettiva. Su La Lettura, ci imbattiamo nell’articolo di Roberto Galaverni sullo sguardo figurativo del poeta Durs Grünbein, che fa smarrire ai luoghi e agli oggetti la determinazione dei loro confini e li trasforma in contenitori di memorie (Il Bosco bianco, Mimesis). Oppure, in una pagina seguente, nella recensione che Simone Innocenti dedica a Smontando il mare (Voland), una raccolta di racconti dove l’autore, Piergiorgio Paterlini, dà prova della sua cifra stilistica audacemente prospettica, delicata e sbalorditiva. Un libro che proviene da un “lontano novecentesco” che però, una volta interrotte momentaneamente le rutilanze digitali, si trova in prossimità, a portata di mano, schiettamente presente. Persino la scienza, che del rigore si ammanta, ora si avvede rigorosamente della necessità di «avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova» e di «disattivare gli schemi di comprensione che l’educazione scientifica ha installato nei nostri cervelli», come afferma su Robinson Libri Marino Niola nella sua recensione a Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Benjamin Labatout (Adelphi). Tuttavia, una revisione del canone su cui si realizzano storiografie accade periodicamente anche a dispetto delle pandemie. Lo riconferma Armando Torno sul Domenicale del Sole 24 ore nella recensione a Il secolo senza nome di Patrizia Stoppacci (Sismel Edizioni del Galluzzo), nel quale viene riconsiderata radicalmente la posizione che gli storici hanno tradizionalmente assunto riguardo al medioevo del X secolo. Ma è il caleidoscopio della raccolta di racconti Il maiale e lo sciamano di Roberto Barbolini (Nave di Teseo) la prova provata «di quanto il genere del racconto rispecchi e rappresenti la complessità del presente, la convivenza di toni alti e bassi, lo strutturale stato di frammentazione e diversità sociale che connota il nostro tempo» come afferma Gino Ruozzi sul Domenicale. Nonostante gli alterati stati contemporanei, la letteratura vera permane, sorniona ma intensa, e fiorisce inaspettatamente in questi tempi decisamente non primaverili. È il caso dell’esordio narrativo di Carmen Barbieri, Cercando il mio nome (Feltrinelli) nel quale la mera attualità non rimane tale qual è, con in aggiunta un impegnato sforzo di dettaglio, di “macro” sulle inezie del quotidiano che cerca disperatamente di nobilitare la propria inutilità letteraria, come cerca di abituarci la maggiore pletora scribacchina odierna. Rispettosa e consapevole della migliore tradizione, Carmen Barbieri invece sublima sul terreno dello stile e del linguaggio la creatività dell’introspezione espressiva, come emerge dagli estratti riportati nella recensione di Ermanno Paccagnini, su La Lettura. In continuità appassionante, le memorie di viaggio di Piero Barbèra intitolate Ricordi tipografici di un viaggio agli Stati Uniti (marzo-giugno 1892), pubblicate ora da Ronzani, ci riportano nella concretezza della tipografia che sa di progetti, inchiostri, sogni, carte, lavoro vero e decisioni editoriali, di cui dà conto Tommaso Munari sul Domenicale del Sole 24 ore.
Andrea Oddone Martin