Rassegna Stampa Libraria – 11 dicembre 2022

Rassegna Stampa Libraria – 11 dicembre 2022

L’intramontabile mito del principe azzurro, dell’uomo “giusto”, deve oggi confrontarsi con l’analfabetismo affettivo, col sentimentalismo consumistico, con la mancanza di modelli comportamentali autorevoli. La protagonista del racconto che dà il titolo al libro Notte al neon di Joyce Carol Oates (Carbonio, traduzione di Claudia Durastanti) si aggira per le strade, tra le luci dei bar. È incinta e in cerca dell’uomo giusto; nel mentre pensa al suo passato di amori sfortunati, reazioni aggressive, abusi e fallimenti. La raccolta di racconti di Joyce Carol Oates è recensita da Cristina Taglietti su La Lettura del Corriere della Sera.

Il baratro che separa civiltà naturale e civiltà artificiale è lampante in Aniko di Anna Nerkagi (Utopia, traduzione di Nadia Cigognini). Nerkagi appartiene al clan dei Nenec, della nativa Siberia. Come molti altri bambini, viene separata all’età di sei anni dalla famiglia di origine, cresce e studia in città dove impara la lingua russa e si laurea. Quando ritorna nei luoghi natii, non si riconosce nelle antiche tradizioni, non sa sopravvivere nella tundra, non sa costruire l’abitazione, cacciare, occuparsi delle renne. Aniko è stato scritto nel 1974 e racconta il dramma delle popolazioni colonizzate attraverso il filtro autobiografico, l’appassionata testimonianza di una discontinuità irrecuperabile causata dalla “civiltà”. Un fraintendimento funesto, esiziale. Recensione di Lara Ricci sul Domenicale de il Sole 24 ore.

Un altro fraintendimento, molto meno rovinoso ma labile, guida il recensore che, sulle pagine de La Lettura, presenta Herscht 07769 di László Krasznahorkai (Bompiani, traduzione Dóra Várnai). Tra gli altri svarioni, il recensore crede che i «grandi temi» (come li chiama nella recensione) del romanzo siano il nazismo, le sinfonie di Johann Sebastian Bach e la fisica quantistica, mentre non si avvede della dinamica e della profondità di tradizione sottesa al romanzo di Krasznahorkai, l’autentico soggetto del romanzo. Lo stile di Krasznahorkai conquista l’originalità nello sforzo di conformarsi alle necessità dei contenuti, evidentemente non rilevati dal recensore, i quali non esistono per essere descritti, ma possono essere riconosciuti. È vero, l’opera di Krasznahorkai non è per tutti, ma a coloro in grado di comprendere o perlomeno che ne subiscono il fascino si rivela potente, intensa e generosa.

Il conseguimento di uno stile è il traguardo ultimo di ogni artista, l’elaborazione e la condensazione di un linguaggio che confermi la presenza di un’esistente intangibile, che lo renda concreto, manifesto. Senza respiro di Raffaella Mottana (Accento) si misura con la molteplicità, la pluralità delle personificazioni interiori di un individuo. Un’architettura asimmetrica, il disegno che contorna i personaggi sbalzato al negativo, una tensione oggettivizzante caratterizza fortemente questo esordio narrativo. Recensione di Demetrio Paolin su La Lettura.

Talvolta, l’immedesimazione identitaria dell’autore con i personaggi dei suoi scritti può essere autobiografica, ma non necessariamente. A volte, è necessario però che vi sia un’identità con i tratti del significato di situazione, ed è il caso di Una scimmia in inverno di Antoine Blondin (Settecolori, traduzione Vittorio Viarengo). Una storia d’emarginazione e di solidarietà, di sconfitta e d’amicizia, in cui il vissuto dell’autore conosce perfettamente quello dei suoi personaggi. Recensione di Simone Innocenti su La Lettura.

In questi tempi di grandi rinnovamenti emerge la ridefinizione di fatto dell’idea di lavoro. Questo ormai viene interpretato unicamente come scambio tra il tempo, messo a disposizione dal soggetto, e la moneta con cui viene compensato. In questa attualità dominata dalla finanza e dalle macchine, il lavoro ha decisamente perso il valore relativo all’accumulo esperienziale, alla contiguità edificante con la materia da trasformare, insomma, la parte nobilitante che gli è atavicamente attribuita. Schiacciati da parole d’ordine quali “flessibilità”, “formazione continua” e dalle loro disarmanti conseguenze concrete, ai lavoratori rimane impossibile realizzare un bagaglio d’esperienza vero, impossibile realizzare se stessi nel lavoro (che comunque saranno costretti a cambiare dopo qualche anno, soprattutto se digitale); un lavoro che si è trasformato in un banale scambio di moneta (da decenni in costante riduzione) e tempo (da impiegare guidando un furgoncino, una bicicletta con lo zaino per le vivande, oppure impegnati nella programmazione di un’applicazione digitale che sarà ineluttabilmente sostituita da qualche altra “novità” entro un paio d’anni. E quando si diventerà capomastro?), da alternare al cosiddetto tempo libero, un’altra invenzione del vecchio capitalismo. Treccani pubblica in un volumetto la voce Lavoro che l’economista Jean Fourastié realizzò per l’enciclopedia del 1978. Un ottimo confronto con una visione lungimirante, corroborata da una visione di lucida attualità di Maurizio Landini. Recensione di Alberto Orioli sul Domenicale.

Ci siamo un po’ assuefatti all’idea di “globalizzazione”. Il termine ha perso gran parte del proprio smalto, è diventato routinario. Ma la sostanza è rimasta tale e quale: problematica. Un solo sassolino di John Hersey (Corbaccio, traduzione Cesare Vivante) venne pubblicato nel 1956, e confronta nella sua qualità letteraria di stampo conradiano, umanità e contingenza, cultura cinese e cultura americana: sarà possibile un’integrazione che non sia di facciata? Ottima recensione di Carlo Pizzati su Robinson de la Repubblica.

Di Soma Morgenstern (stella del mattino) conoscevamo in traduzione italiana solo Fuga e fine di Joseph Roth (Adelphi, traduzione Sabina de Waal). Marsilio pubblica Il figlio del figlio perduto (traduzione Alessandra Luise, Sarina Reina, postfazione Wlodek Goldkorn). Finito e pubblicato nel 1935, narra una vicenda del tempo in cui la popolazione di tradizione ebraica raggiungeva l’emancipazione e l’integrazione in Europa, e si ponevano evolutive problematiche illuministe, sioniste, di come far convivere tradizione e modernità. Progressi interrotti tragicamente, come è noto. Recensione di Susanna Nirenstein su Robinson.

Argomento antico dalle innumerevoli implicazioni, quello del confronto tra giudizio popolare ed esercizio della giustizia. A bruciapelo ci viene in mente la quaestio di Ponzio Pilato, oppure le vicende di The Borough (il borgo) di George Crabbe da cui Benjamin Britten trasse il soggetto per la sua celebre opera Peter Grimes. Questa è la cifra de Il dubbio di Matsumo Seicho (Adelphi, traduzione Gala Maria Follaco), apparso in Giappone nel 1982. Recensione di Sarah Savioli su Robinson.

Sono molti i lettori interessati alla storia e specialmente alle monografie dedicate alle personalità più rappresentative quali, tra le altre: Napoleone, Alessandro Magno, Giulio Cesare, Carlo Magno e Tamerlano. Proprio a quest’ultimo condottiero, vissuto temporalmente alle soglie dell’Umanesimo europeo, Michele Bernardini ha dedicato il volume Tamerlano. Il conquistatore delle steppe che assoggettò l’Asia dando vita a una nuova civiltà (Salerno Editrice). Presenta il volume Franco Cardini sul Domenicale.

Il punto estremo del mondo conosciuto, la solitudine, le colonne d’Ercole della meditazione, il confronto con l’immenso, l’ignoto, l’infinito dell’orizzonte e talvolta con le estreme manifestazioni della Natura. Presumibilmente sono queste le parti costitutive del vigoroso fascino del faro, testimoniato da fiumi d’inchiostro e da immagini di fenomenale bellezza. In Breve atlante dei fari in capo al mondo (Einaudi, traduzione Federica Niola) l’autore, José Luis González Macías, si inoltra nella geografia, nella letteratura, nelle architetture, nella storia di trentaquattro fari nel mondo. Recensione di Michele Mari su Robinson.

Se esiste al mondo un altro luogo, o “meta-luogo”, di altrettanta suggestione, di pari fascino arcaico del faro, questi è innegabilmente il labirinto. Ettore Selli, specialista del genere, dopo aver dedicato il suo Labirinti Vegetali (Pendragon) ai labirinti verdi del mondo, in Labirinti italiani. Arte, storia, paesaggio e architettura nei misteriosi dedali della Penisola (Pendragon) restringe il campo alle elaborate volute vegetali della nostra penisola. Recensione di Stefano Salis sul Domenicale de il Sole 24 ore.

Andrea Oddone Martin

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