Rassegna Stampa Libraria – 23 gennaio 2022
Ha ragione Kamel Daoud quando, nell’intervista di Alessandra Coppola su La Lettura del Corriere della Sera, afferma: «Gli occidentali credono che la libertà sia facile: no, servono strumenti intellettuali per concepirla e praticarla». Nel suo ultimo Il pittore che divora le donne (La nave di Teseo, traduzione Cettina Caliò) lo scrittore di origini algerine mette a fuoco alcuni snodi fondamentali dell’interpretazione del concetto di “diversità”, partendo dalla forma dell’investimento cognitivo con il quale ciascuna cultura interpreta gli elementi universali dell’umanità. Uno di questi elementi è il corpo, l’individualità corporale. Ogni cultura, che sia religiosa, etnica, nazionale, etc. forma i propri individui nel concepire e concepirsi il proprio corpo, nelle sue peculiarità relative alla sessualità, alla comunicazione sociale, ai valori di cui è portatore in quella determinata regione antropologica. «Ciascuno di noi porta dentro di sé una biblioteca invisibile, un coro di voci non scritte», afferma lo scrittore Dragan Velikić nel suo Il quaderno scomparso a Vinkovci (Keller, traduzione Estera Miočić). Un libro dal forte carattere autobiografico, che illumina l’umanità della fascia balcanica, una geografia per la maggior parte riposta in profondità misteriose. La memoria di Velikic ricostruisce la narrativa vitale, spesso tragica di quei luoghi dell’uomo. Recensione di Marco Ostoni su La Lettura.
Un topos che gode di una vivace e lunga tradizione letteraria è quello dello shtetl ebraico. Kreskol è il nome dello shtetl immaginato da Max Gross, che ne narra la genesi, l’epopea e il tramonto in Lo shtetl perduto (E/O, traduzione Silvia Montis). Il tono letterario si mantiene, come da tradizione, tragicomico e l’ironia scorre abbondante nelle pagine del libro. L’immaginazione di Gross ricrea perfettamente la dimensione ideale dello shtetl formulata dalla letteratura mitteleuropea di matrice ebraica e sintetizzata a suo tempo da Claudio Magris: «la trasfigurazione in un microcosmo organico e armonioso in sé stesso pur nella sua oggettiva miseria e quindi tale da consentire, benché su scala minima, la protettrice presenza di valori universali-umani, di punti di riferimento validi per tutti gli uomini di una pur ristretta società». Troviamo la recensione di Susanna Nirenstein sulle pagine di Robinson de la Repubblica. La letteratura permette la contemporaneità dei tempi, la riattualizzazione di passati multipli, l’anticipazione di futuri impossibili e probabili, la simultaneità dei tempi che richiama relatività einsteiniane. Una larga riflessione su come percepiamo il tempo al giorno d’oggi ce la offre Rüdiger Safranski nel suo ultimo Il tempo, che cos’è e come lo viviamo (Keller, traduzione Elisa Leonzio). Lo recensisce Marco Belpoliti su Robinson.
Ricorrenza importante per la letteratura italiana, il centenario dalla nascita di Giorgio Manganelli (Milano, 15 novembre 1922 – Roma, 28 maggio 1990). Autore che ha segnato profondamente il pensiero del Novecento con i suoi scritti, con le sue incursioni acuminate, con la sua presenza letteraria intelligentissima, la sua statura culturale, indisponibile al compromesso, insofferente allo scadimento, al gioco del ribasso. Uno degli autori che, come il suo contemporaneo Carlo Emilio Gadda, vengono ricordati inchinandosi più per costume che per consapevolezza. Ci viene in mente un altro autore verso il quale si era usi al medesimo modo: James Joyce. Per la società, una copia dell’Ulisse sul tavolino del soggiorno era un dovere sociale, un antidoto alla squalificazione intellettuale. Leggerlo e magari comprenderlo era tutt’altra questione. Comunque sia stato, questi autori sono tutti giganti della letteratura a cui dovremmo offrire decisamente di più del nostro rispetto convenzionale (peraltro, a tutt’oggi scaduto pure quello). Un editore milanese celebra la ricorrenza pubblicando la raccolta di scritti manganelliani intitolata Altre concupiscenze (Adelphi, cura di Salvatore Silvano Nigro) in continuità con il volume Concupiscenza libraria del 2020. Recensione di Giuseppe Lupo sul Domenicale de il Sole 24 ore. La menzogna chiamata in causa da Manganelli (La letteratura come menzogna, 1967) si colloca precisamente nell’ambito della natura della letteratura, tutt’altra la natura della menzogna imposta dalle dittature passate, presenti e future. In Lettere da Auschwitz. Storie ritrovate nella corrispondenza inedita dal lager (Utet, a cura di Karen Taïeb, prefazione di Ivan Jablonka, traduzione Valentina Maini) leggiamo disperazioni camuffate, sentimenti censurati, frasi il cui significato va immaginato oltre quello dichiarato, nell’ordine di una lingua artefatta nello scambio epistolare obbligatorio messo in scena dal regime, questa volta, nazionalsocialista. Recensione di Giulio Busi sul Domenicale.
Rimembrando l’opera del nostro recentemente compianto autore Paolo Maurensig, dove il gioco degli scacchi è onnipresente e spesso dichiarato (La variante di Lüneburg, Teoria delle Ombre, L’ultima traversa, Il gioco degli dèi, Scacchi d’autore, etc.), comprendiamo la profondità emblematica della forma, tacitamente compresa nella compiutezza delle geometrie del gioco, che diventa il luogo della conoscenza implicita, dell’intuizione emotiva, della complessità della vita, delle qualità dell’uomo, dei suoi limiti soggettivi, oggettivi e metafisici, naturali e filosofici. Segnaliamo l’uscita del volume Sulla scacchiera. Arte e scienza degli scacchi (Franco Maria Ricci). Nel volume confluiscono le fotografie di Massimo Listri, il contributo dei neuroscienziati Zachary Maynen e Razvan Sandru, lo scritto storico-saggistico di Stefano Salis, una sintesi delle regole basilari del gioco accompagnata da una selezione di partite celebri commentate a cura di Adolivio Capece. Possiamo leggere uno stralcio del saggio di Stefano Salis sul Domenicale de il Sole 24 ore.
Andrea Oddone Martin
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