Rassegna Stampa Libraria – 28 novembre 2021

Rassegna Stampa Libraria – 28 novembre 2021

Non è trascurabile la differenza fra le fole e le favole. Spesso, nel sentire comune, vengono riunite sotto un inappropriato denominatore comune: fantasie. Alle cosiddette fole sono indicati invece termini quali bugie, invenzioni, menzogne, falsità, frottole, fanfaluche, dicerie; mentre alle favole competono termini quali fiabe, storie, novelle, leggende, miti. E diventa così chiara la differenza sostanziale: le favole hanno un alto valore educativo e propedeutico, non solo rivolto all’infanzia. Il titolo Lucilla di Annet Schaap (La Nuova Frontiera, traduzione di Anna Patrucco Becchi) è stato pubblicato recentemente ma, come afferma l’autrice nell’intervista di Gulia Ziino su La Lettura del Corriere della Sera, non si rivolge solo ai bambini. Una narrativa che, in un contesto dichiaratamente irreale, descrive una realtà autentica, particolareggiata e puntuale che, come sanno i veri lettori di qualsiasi età, non sempre presenta un lieto fine. Il valore formativo della lettura è fuori discussione, come quello della scrittura. È nella scrittura di sé che ciascuno di noi può provare a capire, a ordinare, a giustapporre, a sovrapporre, a riscrivere e integrare, a riconoscersi e a riconoscere. A volte questo esercizio raggiunge la quota del memoriale, come Emersione di Benedetta Palmieri (Nutrimenti editore). Ermanno Paccagnini ne scrive sulle pagine de La Lettura.

Se conosciamo il mondo, lo dobbiamo alla letteratura. Sul Domenicale de il Sole 24 ore, Pietro Boitani presenta il suo Vedere le cose. Il grande racconto della poesia d’Irlanda (Mondadori) dichiarando l’importanza di una letteratura, lirica in questo caso, interprete della sapienza e delle infinite manifestazioni della natura con le quali fa corpo unico. Ed è sempre l’Irlanda a dare i natali all’autore di una delle più importanti Opere Mondo (come le definisce Franco Moretti): James Joyce e il suo Ulisse. Scaduti i termini del copyright e scomparso l’unico nipote Stephen James Joyce, il romanzo sta vivendo una seconda giovinezza, se così si può dire, dalla quantità di nuove traduzioni nel mondo. Numerose le versioni italiane proposte da Mattioli 1885, Bompiani, La nave di Teseo, Feltrinelli, Einaudi, Newton Compton, assieme alla ormai classica (che riteniamo tutt’ora più che ottima) di Giulio de Angelis per Mondadori. Mauro Covacich recensisce la versione di Bompiani sulle pagine de La Lettura, che comprendono anche una nota di Ida Bozzi sulle traduzioni di Ulisse. Che l’Odissea di Joyce si sviluppi sull’urbanistica dublinese non è assolutamente un fatto secondario: il significato della città per l’immaginario novecentesco è centrale. Una centralità ciclicamente riscoperta, come nel recente L’anima delle città di Jan Brokken (Iperborea, traduzione di Claudia Cozzi), recensita da Marta Morazzoni sul Domenicale. Una centralità che definisce la figura moderna del flâneur, nella cui erranza viene individuato il vitale ed improbo confronto con il destino. In Vite di passaggio (66thand2nd, traduzione di Anna d’Elia), Sylvain Proudhomme racconta di un flâneur “allargato”, egli non limita la propria erranza ai confini di una città e predilige maggiori larghezze di viaggio, mantenendo inalterata la curiosità verso l’ignoto. Recensione di Fabio Gambaro su Robinson de la Repubblica. Esperienze importanti, che rischiano di ribaltare però l’esperienza artistica nel naïf dell’esperienza individuale. Non bisogna dimenticare che gli uomini sono concepiti dal linguaggio, e non viceversa. È una delle evidenze essenziali nell’Ulisse di Joyce, in quello omerico come nei numerosi libri della Bibbia; e nella raccolta intitolata Seiobo è discesa quaggiù di László Krasznahorkai (Bompiani, traduzione di Dóra Várnai) come ci informa Wlodek Goldkorn su Robinson. Il linguaggio è la nostra casa e la nostra casa siamo noi. “La casa vivente abita i personaggi” si intitola la recensione di Nicola H. Cosentino del libro di Simona Vinci L’altra casa (Einaudi); la troviamo su La Lettura. È una casa dal respiro post-moderno, quella vissuta dai personaggi della Vinci, che si impone sulle loro coscienze scoprendone gli iati, gli anfratti, le inesplicabilità, le cecità. Non casualmente, l’ulteriore recensione al volume di Simona Vinci che troviamo sulle pagine di Robinson a firma di Leonetta Bentivoglio si intitola: “Non aprite quella porta”.

La messa in discussione degli assetti sociali ed economici è un fatto acclarato. Fra le proposte di riconsiderazioni storiche, di visioni alternative al mercato, al capitalismo, agli sfruttamenti (umani e naturali) segnaliamo Una breve storia dell’Uguaglianza di Thomas Piketty (La nave di Teseo, traduzione di Sergio Arecco). L’intervista di Maurizio Ferrera all’autore che troviamo su La Lettura aiuta a comprendere i punti centrali della proposta dell’economista francese. E ancora il titolo Ricchi e poveri. Storia della disuguaglianza di Pier Luigi Ciocca (Einaudi) in cui la pars construens è ancora più incisiva. Recensione di Alberto Orioli sul Domenicale.

Le teorie si moltiplicano, spesso idee considerate innovative ricalcano errori del passato dimenticato e viceversa: non è vero che la storia insegna. O meglio, insegna che la stessa si ripete, tragicamente. Forse, in un empito d’umiltà, potremmo imparare qualcosa dai comportamenti di altre specie, evidentemente capaci. La raccolta di saggi intitolata Funghi fantastici a cura di Paul Stamets (Piano B edizioni, traduzione di Simona Moretti) può servire all’uopo. Recensione di Stefano Mancuso su Robinson.

Andrea Oddone Martin

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