RECENSIONE: Adrián N. Bravi “Il levitatore”
Se soltanto la forza di gravità non ci incatenasse perennemente alla terra e potessimo librarci in aria secondo il nostro volere, il cielo sarebbe certo più vicino alla nostra anima e potremmo, come ogni buon santo o eremita che si rispetti, tentare un po’ di levitazione. Sicuramente avremmo bisogno di grandi capacità di astrazione e concentrazione o forse basterebbe avere una qualche predisposizione o qualche santo in paradiso, o qualcosa nel nostro DNA che ci lanci ogni tanto un po’ più su. Non si può vivere a mezz’aria se qualcuno non ci tende una corda ben tirata da quelle nubi. E allora perché Anteo Aldobrandi, protagonista del bel romanzo di Adrián N. Bravi, Il levitatore, può librarsi senza fatica e senza competenza alcuna in fatto di gravitazione a pochi centimetri dal suolo nella sua cameretta? Non sa darsi Anteo una risposta, egli accetta ciò che accade. All’età di quattordici anni scopre di avere un dono piuttosto raro; così descrive quel primo episodio: «mi ero sentito circondato da una specie di venticello arrivato non saprei dire da dove, visto che le finestre erano chiuse, come se un angelo cherubino, invece di soffiare sulla sua tromba annunciatrice di sventure o benedizioni, avesse soffiato su di me per tirarmi su. All’inizio mi ero spaventato, non capivo cosa mi stesse succedendo; inoltre, non mi era chiaro se quella “sgravità” fosse dovuta alla perdita di peso corporeo o se fosse subentrata qualche forza magnetica. Era una situazione da vertigine». In questa vertigine impara ad ignorare il freddo e il caldo, la fame, la sporcizia, tutti i disagi e i dolori che la vita infligge. Una sorta di beatitudine da camera, scevra da implicazioni religiose e spirituali diversamente da quelle di santi e beati. San Francesco sul Monte della Verna, come ci racconta san Bonaventura nella stesura della vita di Francesco: «Era capace di andare oltre la punta dei faggi, altroché». E che dire di San Tommaso d’Aquino che si recava a fare la sua bella levitazione di un metro da terra nelle prime ore del giorno nella cappella di San Nicola a Napoli. E San Giuseppe da Copertino, uomo di estasi e prodigi innumerevoli, che volle strafare e fu condannato dall’Inquisizione? Certo, ebbe in seguito la soddisfazione di diventare patrono degli aviatori e soprannominato Santo dei voli, e per uno come lui che amava tanto librarsi in aria è sicuramente un ottimo risultato, un gran bel riconoscimento. Ma Anteo è solo un uomo comune che non mira ad entrare nella grande Storia spirituale, non conosce le pratiche magiche e misteriose. «Non ero né un prestigiatore né un fachiro o un eremita che si ritira nel deserto, non ero neanche un medium o un adepto della meditazione trascendentale. Levitavo e basta, come fanno tutte le persone normali». Questa semplice asserzione, semplice e drastica, non lascia dubbi sulla sua natura.
Anteo Aldobrandi, un tipetto magro e gracilino, un uomo di quarant’anni, vive da solo in uno strano appartamento, pieno di cassapanche cariche di misteri rimaste sigillate dalla morte dei suoi genitori. È una persona semplice, modesta che ha bisogno di poco o quasi nulla. Silenzioso e pacato trascorre le giornate con la sua cagnetta Plotina. Non è un tipo ambizioso, gli basta levitare giusto un po’, lontano dagli occhi del mondo, in piena solitudine nella sua stanzetta. Non vuole scappare dalla vita o respingerla ma, al contrario, viverla più intensamente. Quando levita Anteo sente di seguire il movimento irregolare del destino, come nelle «giornate sgangherate che vanno di qua e di là per conto loro». Considera la gravità una prigione. E ha ragione, al di fuori di quello stato di Grazia non resta che la realtà così com’è, meschina, povera, faticosa, senza scopo. E infatti quando la quotidianità farà pesantemente irruzione nella sua vita, Anteo non sarà più in grado per un lungo periodo di levitare. Realtà e Grazia si fronteggiano da sempre con ostilità.
Per il protagonista del romanzo la realtà entrerà a sconvolgere la vita di Anteo in veste di postino; una busta conterrà una lettera che segnerà l’inizio di una lunga, spossante e assurda vicenda giudiziaria. È solo un invito formale a presentarsi in caserma dal capo dei Carabinieri per affari di polizia giudiziaria. Ma certo non finirà lì. Da quel momento la burocrazia intraprende il suo corso maligno. Ad accuse seguiranno accuse. Per motivi inspiegabili, l’innocente e stralunato Anteo, si troverà al centro di un processo penale di cui mai riuscirà a comprendere il motivo. Di fronte al peso della burocrazia e di un’accusa ingiusta levitare non è più possibile. Anteo viene schiacciato verso il basso. Soffocato e sconfitto. Soltanto quando la vicenda sarà chiusa, ma non compresa, egli tornerà alla sua piccola vita dove finalmente alzarsi verso il cielo sarà di nuovo possibile.
Adrián N. Bravi, che fa uso sapiente di ironia e levità anche linguistica, aveva dichiarato in un’intervista che: «La levitazione, anche quando uno si stacca da poco da terra, presuppone un’ascesa verso l’alto. Ho scelto di parlare di un levitatore perché ormai, da quando i santi e psicocinesi sono andati in pensione, nessuno pratica più la levitazione. È un arte in disuso, relegata ingiustamente al soprannaturale».
Ma allora non resta che invidiare il buon Anteo nelle sue peregrinazioni aeree: «E io immobile sospeso in aria, con una parte dell’anima ferma dentro di me e l’altra parte tra le sfere del firmamento».
Patrizia Parnisari
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Adrián N. Bravi
Il levitatore
Collana Quodlibet Compagnia Extra
curata da Ermanno Cavazzoni e Jean Talon
Quodlibet Macerata 2020
Brossura fresata
120 x 189 x 18 mm
201 pp
190 gr
15,00 €
ISBN 9788822904218