RECENSIONE: Alberto Manguel “La biblioteca di notte”

RECENSIONE: Alberto Manguel “La biblioteca di notte”

Il termine “assurdo” deriva dal latino absurdus che significa dissonante, stonato. Al giorno d’oggi viene usato solamente con il significato di, e cito dal Devoto-Oli: contrario alla logica del pensiero, della parola, dell’azione; contraddittorio, inconseguente fino ad essere incomprensibile; assolutamente sconveniente, inattuabile, incredibile. Per Alberto Manguel, ogni biblioteca è la dichiarazione concreta dell’ostinazione con cui l’umanità persegue fini assurdi. La proposizione viene dichiarata fin dalla prefazione del suo libro La biblioteca di notte, e le scritture dei capitoli seguenti le si mantengono fedeli. In questo libro, infatti, Manguel parla principalmente della sua biblioteca, del suo rapporto con i libri e, a volte, con gli autori degli stessi. Questa immagine, particolarmente personale, viene proiettata sulle biblioteche che Manguel incontra, frequenta e ricorda nel libro. Ma anche di librerie commerciali, tutt’ora esistenti o solo ricordate, oppure di librerie private, nelle case dei conoscenti, uno su tutti: Jorge Louis Borges. Perciò, il libro si presenta nell’aspetto della scrittura autobiografica: il punto di vista di Manguel si impone su ogni riga, e le citazioni sono funzionali all’espressione di un pensiero dell’autore. Del pensiero dell’autore che, a suffragio della ratio del momento, non distingue tra teologia, archeologia, ricordi personali, mitologia, oriente e occidente, psicologia, considerazioni personali, giornalismo, letteratura sacra, leggende, filosofia, architettura rinascimentale, situazionismo, storia antica e recente, etc. Ad ogni capitolo è attribuito un titolo che sottende una categoria ideale attorno alla quale dovrebbero strutturarsi gli argomenti. Ma quello che succede, che peraltro onora gli intenti manifesti della prefazione, è specialmente legato ad un vissuto personale diretto. Ad esempio, e crediamo che da questo episodio nasca il titolo del libro, nel secondo capitolo Manguel esordisce con la descrizione di sé stesso seduto nella sua biblioteca di notte mentre guarda “nelle pozze di luce l’implacabile plancton di polvere che si solleva dalle pagine e dalla mia pelle e si deposita, con il passare delle ore, in strati senza vita nel debole tentativo di resistere al tempo”. All’autore seduto nella sua biblioteca di notte “piace immaginare che, il giorno dopo il mio ultimo, la mia biblioteca ed io ci sgretoleremo insieme, cosicché anche quando non ci sarò più, sarò ancora in compagnia dei miei libri”. Dopodiché, ricorda nel dettaglio le sistemazioni della propria biblioteca all’età dell’infanzia, a volte per dimensioni, per colore, a volte per soggetto, per lingua, a seconda del momento. Ed ecco la citazione da Plinio il giovane. L’autore considera, al termine di questa descrizione, che “non esistono categorie definitive in una biblioteca”. Ed inizia il nuovo paragrafo con un’altra succosa considerazione: “la biblioteca privata, a differenza di quella pubblica, ha il vantaggio di consentire una classificazione estrosa e strettamente personale”. E com’era la biblioteca di Valery Larbaud? E secondo quali criteri poteva catalogare la propria biblioteca il romanziere Georges Perec? Eccoci alle prese con l’apertura degli scatoloni dei libri di Manguel in procinto di essere sistemati nella sua biblioteca ospitata nell’antico granaio ricostruito in Francia. Ed ecco l’apparizione doverosa di Walter Benjamin portata a paragone, mentre sistema la sua biblioteca d’esule. Proseguono i dettagli della sistemazione della biblioteca personale, paragonati a quelli delle biblioteche di amici oppure anche pubbliche visitate negli innumerevoli viaggi. Sotto l’egida della considerazione, quasi un motto: “in fondo, ogni organizzazione è arbitraria”, si procede con le citazioni: Sir Robert Cotton, G.K. Chesterton, la Biblioteca Imperiale della Cina dell’inizio del III secolo e successivi, la “biblioteca biografica” di Ahmad ibn Muhammad ibn Khalikan in Iraq, la biblioteca di Alessandria nella classificazione del suo bibliotecario del III secolo a.C. Callimaco, il Libro degli autori del libraio Abu Tahir Tayfur nella Baghdad del IX secolo d.C. Certo la confusione prevale, ma è chiaro che anche nella biblioteca dell’autore, “dato che gli autori sono disposti in ordine alfabetico, tutti i libri di Italo Calvino si trovano sotto la lettera «C», sul secondo scaffale in alto della sezione in lingua italiana, ma non faccio molta attenzione se Il barone rampante preceda Le cosmicomiche (nel rispetto della cronologia), o se Lezioni americane segua Ultimo viene il corvo (tenendo distinti i suoi saggi dalla narrativa)”. A volte, i bibliotecari arabi preferivano suddivisioni per soggetto a quelle per ordine alfabetico; a volte erano presenti entrambe, che originali questi arabi. Le biblioteche dell’impero romano risentivano dell’organizzazione della biblioteca d’Alessandria ma erano obbligate ad una prima suddivisione tra opere latine e opere greche (che stravaganti!), i cui rotoli sistemati negli scaffali superiori potevano essere addirittura raggiunti mediante delle scalette accessorie. L’espansione di una biblioteca è irrefrenabile, anzi è parte sostanziale della propria anima, la progressione numerica potrebbe essere la più adatta a seguire l’inesorabile accrescimento: “perfino nel Seicento, Samuel Pepys si rese conto che, per permettere questa espansione, l’universo infinito dei numeri era più efficiente dell’alfabeto, e numerò i suoi volumi”. Com’era prevedibile, a fine capitolo si giunge a Melvil Dewey e alla sua classificazione numerica “con i numeri sul dorso dei libri che ricordano tante targhe automobilistiche allineate in un parcheggio”. Questo è il resoconto succinto di quel che accade nel secondo capitolo intitolato enfaticamente La biblioteca come ordine, titolo che lascia erroneamente presagire cosmogonie e rifrazioni teologiche. Il pregio indiscutibile di Alberto Manguel è quello di praticare l’arte della divulgazione e, per quanto riguarda la cultura del libro, si tratta di un’attività encomiabile. Inoltre, lo stile divulgativo di Manguel è particolarmente sintonizzato sulle frequenze dell’epoca odierna a suo tutto vantaggio, tanto che la proprietà di linguaggio lo accomuna alla cosiddetta letteratura di viaggio, oppure anche a quella digitale e familiare del Blog. Le tematiche praticate si intrecciano tra alte e basse, elitarie e democratiche, come ad esempio la prosaica dichiarazione che i libri occupano man mano sempre più spazio domestico, oppure curiosità da Settimana Enigmistica nell’evocazione giornalistica del sepolto dai libri di pag. 66, o vere stupidaggini come il paragone tra la Winchester House e le biblioteche di pag. 80. La tendenza alla semplificazione divulgativa di Manguel a volte raggiunge degli apici, come nel caso delle iscrizioni del patrimonio delle biblioteche della Mesopotamia del III millennio a.C.: “tavolette commemorative di pietra o di metallo che narravano importanti eventi politici, una sorta di gazzetta europea del Seicento o di odierni best-seller su argomenti di attualità” e siamo a pag. 96. In questo libro, Alberto Manguel ci lascia pensare che sia difficile tracciare un confine tra ecumenismo e qualunquismo, soprattutto quando, spingendosi decisamente oltre il confine del lecito, chiama in causa la filosofia di Niccolò Cusano capovolgendone i principi per sostenere le proprie affermazioni, e siamo a pag. 188. Oppure quando a pag. 140, anche se non gli sono richiesti requisiti di analisi matematica, si spinge ad affermare che la sezione aurea non è spiegabile in termini matematici, per cui secondo lui si evidenzia come un equilibrio fisico per il quale non esiste una formula. Uno svarione clamoroso. E più sotto il paragone tra l’ordine severo proposto dalle finestre e le ricorrenti volute della biblioteca laurenziana che dovrebbe, a suo avviso, indicare l’ordine armonioso della conoscenza universale contrapposta all’impossibilità dello stesso indicato, sempre a suo avviso, dalla dinamica della famosa scalinata del vestibolo. Una completa invenzione personale. Però, è stato affermato fin dall’inizio che la tesi fondante l’intero libro è la follia della conoscenza. La pubblicazione, una volta immunizzati dai suoi “aspetti caratteristici”, si propone come estremamente godibile ed ha il non trascurabile pregio di spingere all’approfondimento, alla verifica continua, aprendo finestre inaspettate sulla conoscenza e sul mondo del libro. Particolarmente gradito ci è il formato dell’edizione: una brossura molto morbida, ritmata da illustrazioni, impaginata in modo molto equilibrato, comprendente un utile indice dei nomi, decisamente tra le nostre preferite.

 

Andrea Oddone Martin

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Alberto Manguel

La biblioteca di notte

Traduzione di Giovanna Baglieri

Collana Lettere

Archinto – RCS Libri Milano 2007

Brossura

156x214x19 mm

320 pp

512 gr

ISBN 9788877684967

€ 24,00