RECENSIONE: André Schiffrin “Libri in fuga”

RECENSIONE: André Schiffrin “Libri in fuga”

Questa terza scrittura di André Schiffrin, pubblicata in Italia con il titolo Libri in fuga, si pone in diretta continuità con i precedenti Editoria senza editori e Il controllo della parola. Una continuità a ritroso, potremmo dire. Una continuità in cui Schiffrin cerca di approfondire, questa volta con l’intento della forma autobiografica familiare, la maturazione del proprio pensiero culturale e professionale.

La prima parte si rivolge all’universo familiare, alle vicende della coppia dei genitori per lo più ignote ad André ma che incontra in tarda età, in seguito alla consultazione della corrispondenza tra il padre Jacques (un importante anche se sfortunato editore, prima in Francia e poi in America) e il suo grande amico André Gide.

Si compone così un quadro costituito da ricordi personali, documenti, immagini, aneddoti e racconti familiari. Un quadro affascinante, avventuroso e doloroso, fatto di fulgori e cadute dove i protagonisti sono dapprima il padre Jacques Schiffrin e poi, dopo l’incontro in casa editrice e sposata in seconde nozze, la madre Simone Heymann. Gli anni movimentati del primo periodo parigino e, dopo l’emigrazione forzata, del primo periodo newyorkese sono filtrati dalle immagini e dalle sensazioni del bambino André, e dal confronto tardivo con la corrispondenza dei genitori con l’Europa. Vengono ripercorsi gli anni formativi, dove si evidenzia la passione di André per l’approfondimento e la condivisione delle idee. Una passione precoce, che si esprime con l’attenzione per la politica e una conseguente coscienza riformista.

A nostro avviso, il punto chiave per comprendere il pensiero politico, che si estenderà nella professione editoriale, di André Schiffrin si individua negli anni universitari post-laurea che trascorre nel continente, a Cambridge nel periodo pre-Tatcher/Blair. È in questo luogo che André Schiffrin si confronta con un’inedita possibilità, alternativa alla mentalità americana che lo ha formato fino a quel momento. Un confronto confuso, all’inizio. Dal punto di vista americano, l’ambiente culturale appare destrutturato, privo di obbiettivi e di finalità, dispersivo e dormiente. Una focalizzazione graduale e continua permetterà ad André di considerare ed apprezzare la positività dell’ambiente europeo, vera fucina di pluralismo, e di contrapporla alle criticità dell’ambiente americano. Per esempio, alla pagina di apertura del sesto capitolo l’autore ammette che «Intellettualmente Cambridge mi aveva dato la libertà che non avevo mai avuto e mi aveva insegnato molto di più di quanto mi sarei aspettato. Ricordo di aver riletto, per la centesima volta, il libro di Tocqueville sulla rivoluzione francese con il mio tutore, lo storico Jack Gallagher, e di essermi reso conto che, a Cambridge, avevo finalmente imparato a leggere. Prima leggevo per piacere o per obbligo, ma ora capivo sia le intenzioni dell’autore sia le questioni che poneva. Sentivo che potevo inserire, in modo nuovo, il libro nel proprio contesto. In altre parole stavo iniziando a leggere come uno storico».

André Schiffrin, terminato il periodo di studi post-laurea, torna negli Stati Uniti. Man mano che il racconto si inoltra nella seconda parte, si incentra sempre più sull’analisi dell’infausto capitalismo cieco e indifferente a tutto, fuorché al profitto. Nel proseguire della narrazione, che segue un andamento cronologico, Schiffrin si sofferma anche sull’avvento delle comunità rivoluzionarie dagli anni settanta, che pian piano soppiantavano quelle animate da principi riformisti: dette organizzazioni non sono mai riuscite ad avere i numeri per poter veramente incidere profondamente nella globalità. Nel frattempo, il virus del profitto totalizzante colpisce tutti i settori economici, anche indirettamente: «I dottori erano stati costretti a prendere decisioni mediche imposte dalle compagnie assicurative o dalle amministrazioni ospedaliere, il cui primo obiettivo erano i soldi, non la salute. I loro stipendi erano saliti alle stelle, ma la loro libertà era finita».

Certamente l’editoria rimane centrale nelle vicende raccontate da Schiffrin in Libri in fuga, ma lo scritto si rivolge a tutta la società umana, si rivolge a tutte le coscienze che non hanno dimenticato completamente il valore della cultura e della vita, per avvertirle delle nefaste conseguenze di un certo modo “zombificante” di interpretare l’economia che ormai da molti anni sta pervadendo e distorcendo, eliminando le alternative, tutti i livelli della società, in tutti i paesi. Una lettura avvincente, precisa nelle affermazioni, nelle citazioni e, purtroppo, preoccupante.

Andrea Oddone Martin

© riproduzione riservata

André Schiffrin

Libri in fuga – un itinerario politico fra Parigi e New York

Traduzione di Valentina Parlato

Voland s.r.l.

Roma 2008

Brossura

144 x 204 x 15

234 pp

ISBN 9788862430319

€ 15,00