Recensione: Champfleury “Il violino di faenza”

Recensione: Champfleury “Il violino di faenza”

Se amate girovagare per la Borgogna, e vi capita di visitare Nevers, chiedete pure di Monsieur Dalègre. Chi non conosce, in quell’allegra cittadina, quel buontempone sfaccendato che si prodiga, notte e giorno, in feste, balli, pranzi e gozzoviglie? Affabile, sorridente, uomo piccolo e beato. Non conosce pensieri né dispiaceri. Eppure anche un’esistenza felice può venire a noia nella sua inevitabile monotonia. E allora…, via! A Parigi in cerca di novità.

Ma se non siete inclini a viaggiare e non potete recarvi a Nevers ad incontrare quest’anima gioiosa, non avrete che da leggerne la storia narrata da Jules-François-Félix Husson-Fleury, meglio noto con lo pseudonimo di Champfleury, nel piccolo libro Il violino di faenza, edito da Sellerio e impreziosito da pregevoli illustrazioni e fregi tratti dall’edizione del 1877.

Chi era dunque l’autore di questo piccolo volume? Un uomo con una vita famigliare travagliata e tragica, costellata di dolori e lutti. Ed è sorprendente come, a dispetto della sua esistenza, abbia adottato in ogni suo libro uno stile colmo di levità e delicata ironia. Anticipatore di scrittori quali Zola, Flaubert, Balzac, Champfleury era solito descrivere personaggi eccentrici, anomali, caricature, spesso presi dalla realtà proprio come i due protagonisti de Il violino di faenza o addirittura ispirandosi a sé stesso. Sarà il fotografo Gaspard-Félix Tournachon, noto con lo pseudonimo di Nadar, a disegnare una divertente caricatura di Champfleury e scattarne una foto nel 1860. Ma Nadar non fu l’unico a tramandarci delle immagini dello scrittore. Frutto infatti dell’amicizia che Champfleury coltivò con Gustave Courbet, troverà posto nel dipinto del 1855 L’atelier del pittore, accanto a Charles Baudelaire. Sulla destra del quadro il poeta francese legge un libro e accanto a lui, seduto su di uno sgabello, Champfleury ha lo sguardo rivolto verso Courbet che dipinge. Tra le tante cose curiose della vita dello scrittore francese, Vittorio Fagone ci ricorda nella sua introduzione al piccolo libro che ne La Boheme di Giacomo Puccini, tratto da Scene della vita di Boheme di Henry Murger, le vicende del personaggio di Marcello «sono ricalcate su quelle realmente vissute da Champfleury giovane. Murger in effetti condivise con Champfleury nella “bella età di inganni e di utopie” non solo le stesse ardenti e spensierate giornate» ma per un po’ anche l’abitazione parigina.

Ma torniamo alle gesta di Dalègre. Stanco della sua vita nella cittadina di Nevers, è appena giunto a Parigi. Quanto si pentirà il buon Dalègre di quell’azzardo! Se è vero che anche un incontro casuale con un vecchio amico può a volte cambiare la vita, quella di Delègre sarà a dir poco stravolta nell’imbattersi per caso in Gardilanne, compagno di collegio d’altri tempi. Se il nivernese può dirsi un tipo sano e solare, il parigino, al contrario, è uomo spento, corrucciato e malaticcio. Eppure, quasi a voler confermare il vecchio adagio, i nostri due opposti se la intendono assai bene. Gardilanne, scapolo, preciso e ligio ai propri doveri di impiegato al ministero, è agli occhi di tutti un uomo che non nutre passioni di alcun tipo. O almeno così sembra. Perché in realtà, nel suo apparente grigiore quest’uomo cova un’esistenza intrisa d’una esaltante e trascinante passione: il collezionismo. Affamato di oggetti e rarità, risparmia ogni centesimo privandosi di tutto pur di comprare uno smalto di Limoges, un vetro di Venezia, una maiolica di Enrico II, e poi avori, acqueforti, stoffe, armi; la sua sete è inestinguibile, la sua smania incontrollabile. Potete ben vederlo anche voi in giro per Parigi mercanteggiare nelle botteghe di robivecchi e rigattieri per una pergamena, una posata appartenuta a chissà chi, o un pitale usato da un deretano imperiale. E quando poi al colmo della felicità e del delirio stringe al petto il suo prezioso oggetto e corre, corre a perdifiato verso casa per mettere al sicuro quel capolavoro, state ben attenti a non urtare quest’uomo, ve ne pentireste per il resto dei vostri giorni. Egli è disposto ad uccidere pur di proteggere e salvare il suo tesoro, il suo nobile pitale. Ne sa qualcosa Delègre in visita a casa dell’amico. Questa tipica dimora da collezionista è ricalcata sull’esempio di quella parigina dello stesso Champfleury, anch’egli non a caso collezionista. Tra queste mura, Delègre, cauto, si muove lentamente, sempre all’erta; un passo falso e qualche meraviglia potrebbe andare in frantumi. Non voglia il Cielo! Ovunque accatastati ed esposti allo sguardo, oggetti d’arte e non: «Bisognava stare attenti ai gomiti, al cappello, a ogni minimo movimento del corpo». Gardilanne esperto finissimo in ogni tipo di antichità, sa vagliare e scegliere le cose di valore ed è in grado di tirare sul prezzo per ore; si reca alle aste, vende ai collezionisti migliori e per sé tiene i pezzi più preziosi. Un’intera esistenza dedita al collezionismo. Un uomo di tal fatta non conosce cedimenti perché guidato dall’ossessione. Questa malattia non concede requie. Chiunque l’abbia sperimenta sa che si tratta di una vera e propria possessione. Rimedi non ve ne sono. Che siano libri o quadri, manoscritti, penne o anelli, non conta. Il possesso dell’oggetto è tutto. Questa insidiosa malattia, pur non essendo riportata nei manuali di medicina come contagiosa, in realtà lo è se, come vedrete, accanto a Gardillane, Delègre ne farà le spese. Impercettibilmente la malattia lo cattura alle spalle, gli tende un agguato. Delègre non ama il bric-à-brac, detesta andare in giro per Parigi con l’amico in cerca di rarità sbreccate, incrinate, detesta quei frammenti logori di antiche tappezzerie e quel frugare con entrambe le mani tra la polvere in ciò che ai suoi occhi è soltanto ciarpame. Ma piano piano inizierà a comprendere e decifrare la bellezza di alcune ceramiche. «Gardillanne aveva gettato un seme della sua passione nell’animo dell’amico». E così Delègre promette che al suo ritorno a Nevers, ricca di ceramiche preziose, si assumerà il compito di cercare per l’amico i migliori oggetti per la sua collezioni e glieli spedirà a Parigi. Grandi casse colme di rarità ora vanno e vengono per la gioia di entrambi. Ma ormai la passione nel cuore di Delègre si è insediata e con essa la menzogna. La cupidigia del possesso lo costringe a mentire. Tiene per sé le cose migliori, che ormai sa riconoscere, e invia a Gardillane solo oggetti mediocri. Prova la stessa frenesia, la medesima febbre, l’affanno della ricerca e l’ansia costante durante le ricerche convulse ed esaltanti. La gioia e la spensieratezza di un tempo lo stanno ormai abbandonando. Qualcosa più grande e potente di lui lo incalza. La sua collezione cresce, le sue bugie anche.

Gardillane però è uomo scaltro e per un collezionista come lui questo inganno non può durare a lungo. A sorpresa si reca a casa di Delègre che continuerà a mentire anche di fronte ad ogni evidenza di inganno. Sarà il ritrovamento da parte di Gardillane del prezioso violino di faenza presso un rigattiere proprio a Nevers, a scatenare la tragedia nella vita di Delègre. «Lo smalto era di una purezza incomparabile, e l’azzurro carico di disegni faceva pensare ai cieli di Spagna… Non una crepa, né una screpolatura, neppure nella voluta delicata del manico. Dalègre era diventato verde; ma quando Gardillane girò il violino per mostrare la tavola inferiore, un velo passò sugli occhi del nivernese che credette di non poter sopportare la vista di ciò che era dipinto su quel capolavoro». Il volto una volta roseo si è fatto giallognolo e ha assunto la biliosa impronta dell’invidia. Da quel momento non sarà più lui e correrà dritto verso la follia. L’unica realtà sarà quella degli oggetti, l’unico motivo di vita entrare in possesso del violino di faenza.

Vittorio Fagone asserisce che quella che veniva chiamata “la malattia della porcellana” Porzellankrankheit aveva davvero attraversato «come un’epidemia l’Europa mondana e raffinata del XVIII secolo». Lo racconterà anche lo scrittore inglese Bruce Chatwin nel romanzo Utz (Adelphi, traduzione Dario Mazzone), verosimilmente ispirato a quello di Champfleury e che, anche in questo caso, si basa su una storia vera. Il collezionismo della ceramica è per il povero Kaspar Utz, ricco praghese di famiglia tedesca, una condanna. Ossessionato dalla sua collezione di famose porcellane di Meissen, ammette di essere affetto da una forma virulenta di Porzellankrankheit. La collezione lo tiene prigioniero: «E naturalmente mi ha rovinato la vita!», confessa.

Malattia che, ci ricorda Chatwin nel romanzo, ha afflitto anche Augusto il Forte influenzando lui e i suoi ministri, tanto che i loro deliranti progetti per la ceramica, «si confusero con l’effettivo potere politico». Ci sono però collezioni “gigantesche” che non trovano dimora in una stanza e che abbisognano di molto, molto spazio; lo sapeva bene Federico Guglielmo di Prussia che per lungo periodo collezionò giganti veri, in carne e ossa, giganti che andavano nutriti e foraggiati con enormi quantità di cibo, ma che tornarono utili durante un’assurda transazione diplomatica con Augusto di Sassonia che volle aggiungere alla collezione di Guglielmo altri seicento giganti in cambio di centoventisette pezzi di porcellana cinese che certo erano più facili da conservare. E ci fu anche chi, giocando al ribasso, collezionò nani d’ogni ordine e grado. Così è il collezionismo! Certo, per collezionare giganti ci vuole spazio. Meglio i nani.

Patrizia Parnisari

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Champfleury

Il violino di faenza

Collana Il divano

Traduzione Maria Gulì Croci

Curatela Vittorio Fagone

Sellerio Palermo 1990

Brossura fascicoli cuciti

107 x 155 x 12 mm

175 pp

160 gr

8,00 €

ISBN 9788838906039