RECENSIONE: Georges Simenon “L’assassino”
Un’esistenza tediosa fatta di poche, piccole cose, senza slanci o imprevisti, «…aveva camminato per anni lungo un binario morto». Ingannato dalla vita il dottor Hans Kuperus non ama i suoi pazienti, non ama Sneek, il paesino della Frisia in cui è costretto a vivere, non ama i suoi concittadini e forse non ama neppure sua moglie. La noia lo paralizza; solo un profondo distacco lo lega paradossalmente alla vita. Per questo ogni giorno esegue gli stessi movimenti, negli stessi luoghi alla medesima ora, con le stesse persone. «Sì, era proprio così, si sentiva distaccato da tutto. Fluttuava completamente solo in un universo indifferente: gli oggetti che toccava parevano privi di consistenza, e la gente che incontrava sembrava appartenere a un altro mondo».
Questo è Hans Kuperus, protagonista de L’assassino, l’imperturbabile e grigio omicida del romanzo giovanile di Georges Simenon, scritto nel dicembre del 1935, ambientato nella Frisia degli anni Trenta e portato sullo schermo da Ottakar Runze nel 1979, col titolo Der Mörder.
Kuperus è un medico, un uomo irreprensibile ma in grado di architettare e portare a compimento un duplice delitto. Un individuo scialbo, spento, in apparenza comune, ma che proprio per questo cova ambizioni frustrate e spirito di rivalsa che non riesce soddisfare. Osserva con invidia e livore la vita piena, sfavillante e di successo del conte Cornelius Schutter l’uomo più ricco e invidiato del paese, colui che ottiene tutto ciò che vuole anche le cariche alle quali il mediocre Kuperus ambisce da sempre.
Finalmente il destino gli offre una possibilità di riscatto. Una lettera anonima lo avverte che il conte Schutter è l’amante di sua moglie, Alice, una donna senza alcuna attrattiva. Per quale aberrazione allora, si chiede il signor Kuperus un uomo come il conte aveva messo gli occhi su una donna sempliciotta e banale come Alice Kuperus? Forse perché sua moglie «somigliava a una caramella: profumava di zucchero, si nutriva di pasticcini e aveva la pelle rosa come il marzapane». Nel freddo distacco dal mondo e dei suoi eventi Kuperus aspetta un intero anno prima di agire; poi una mattina esce, compra una pistola e uccide i due amanti nel bungalow di Schutter. in riva al fiume.
Molte sono le caratteristiche che lo avvicinano a Raskolnikov, il complesso protagonista del Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij; Kuperus sembra essere a tratti il fratello letterario minore del personaggio dostoevskiano. Ma al dottore non è concessa una redenzione. Entrambi però non si mostrano all’altezza del proprio crimine poiché non sanno dominarlo, ma ne sono divorati. Un delitto che uccide colui che lo ha perpetrato, un delitto che distrugge e annienta. Se Raskolnikov sente di avere “diritto” al delitto in virtù di una ragione superiore che lo trascende, il dottore non ha neppure quello. Kuperus non si interroga mai sulla gravità di ciò che ha fatto. Non si pone il problema se uccidere sia giusto e permesso. Lo fa e basta. Non si pone il dilemma del Bene e del Male che, al contrario, divora Raskolnikov. Il dottore non uccide per via del tradimento, non è neppure roso o consumato dalla gelosia; il suo duplice assassinio è dettato soltanto dall’invidia e l’acrimonia nei confronti di Schutter, uomo vincente e sempre trionfante. Il suo crimine è allora sbiadito, senza gloria e invece del riscatto dimorerà nella banalità di sempre. Se Raskolnikov attraverso un lungo ed elaborato processo di presa di coscienza arriverà a confessare la propria colpa ed affrontare consapevolmente il castigo, il povero Kuperus non possiede profondità di pensiero e azione e arriverà a costruirsi la sua stessa prigione. «Ebbe la netta sensazione che tutti sapessero di lui, che tutti avessero la certezza che fosse lui l’assassino. Eppure non lo arrestavano! Non lo interrogavano!». Tutti infatti nel piccolo paese olandese sanno che lui ha ucciso, ma nessuno nemmeno il giudice lo accusa apertamente. Piano piano attorno al dottore si crea una ragnatela fitta e vischiosa di disprezzo, odio e scherno; nessuno parla ma tutti lo evitano, lo ingiuriano anche i bambini, persino i suoi pazienti. Quel micro-universo sul quale Kuperus avrebbe voluto dominare, lo schiaccia con studiata perfidia, giorno dopo giorno, in sordina, non permettendogli mai di arrivare ad un castigo e una redenzione. In quel limbo omicida egli dovrà soffocare lentamente. Gli viene suggerito da più parti di lasciare Sneek. Ma il dottore non cede, esige il suo castigo, vuole il suo posto nel mondo a qualsiasi prezzo. E allora li provoca, insinua la sua colpevolezza, li stuzzica, fomenta i sospetti, li provoca per farli parlare: vuole sentirsi dire «Sei stato tu. Sei un assassino».
Ma è lo stesso Kuperus a costruirsi la sua prigione: la bigotta città di Sneek, e lì si costruisce il suo castigo circondandosi di un intero genere umano che lo disprezza e lo umilia. E pensare che lui era voluto fuggire al sentimento di umiliazione e sopraffazione che gli avevano rovinato l’intera esistenza uccidendo colui che ne era in buona parte l’artefice. «Un’umiliazione… Sentirsi impotente davanti a un altro uomo, la necessità di riconoscere la propria inferiorità e inchinarsi… Non aveva provato la stessa cosa centinaia di volte davanti a Schutter?».
Chiuso nel suo castigo Kuperus avrebbe voluto farla finita una volta per tutte. «Ma farla finita con cosa? Con quell’angoscia, quell’inquietudine, quella sorta di vertigine, quel malessere indefinibile». E allora, punta dritto all’autodistruzione senza tentennamenti, così come senza tentennamenti aveva ucciso.
Patrizia Parnisari
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Georges Simenon
L’assassino
Collana Biblioteca Adelphi
Adelphi Milano 2011
Brossura fascicoli cuciti
138 x 220 x 12 mm
250 gr
155 pp
16,00 €
ISBN 9788845926020