RECENSIONE: Gilbert K. Chesterton “Il club dei mestieri stravaganti”

RECENSIONE: Gilbert K. Chesterton “Il club dei mestieri stravaganti”

Tempi difficili i nostri. Mancanza di lavoro, mancanza di alloggi, mancanze di ogni tipo. Ma ecco che ci viene in aiuto Mr. Chesterton e ci offre un piccolo, semplice viatico per la felicità.

Sconfiggere la disoccupazione non è impossibile. Basta con lavori frustranti, ripetitivi, privi di fantasia. Ciò che Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) propone nei suoi racconti Il club dei mestieri stravaganti è, a dir poco, risolutivo; un piano strategico per pianificare il nostro estroso futuro.

In un luogo non meglio precisato, tra botole e cantine, si trova un sotterraneo in cui ha sede il Club dei Mestieri Stravaganti. Qui ogni membro dovrà guadagnarsi da vivere con lavori o attività inedite mai esercitate da alcuno, meglio se strambe e spassose.

Tra di essi c’è persino l’esimio professor Chadd, famoso in ambito etnologico; una vera e propria autorità in fatto di studi sulle lingue dei selvaggi. Tra i suoi articoli più recenti, da non perdere: Gli interessi degli zulu e la nuova frontiera di Makango. Presto sarà persino nominato Custode dei Manoscritti Asiatici. Ma ciò che più lo lusinga e per cui verrà ricordato (nel racconto L’eccezionale condotta del professor Chadd) è l’invenzione della Lingua Saltellante. Facile, ma faticoso da imparare, questo nuovo sistema linguistico prevede un approccio completamente diverso da quello che conosciamo. Qui si gira, si saltella, si balla e si scalcia. Mentre un piede ruota furiosamente nell’aria, ad indicare alcune lettere o parole, l’altro gira a terra, per esprimerne altre. Se si piega un ginocchio ad angolo acuto e si scalcia con l’altro alzando un braccio, il discorso si farà più pregnante. Per questa ragione, il professore trascorre molte ore in giardino saltando e ballando mentre conversa con un amico con gambe da arlecchino.

Tra gli esimi personaggi del Club non poteva certo mancare Mr. P. G. Northover artefice dell’Agenzia Avventure Fantastiche, (nel racconto Le incredibili avventure del maggiore Brown). Bisognerà naturalmente versare una quota annuale o se si vuole quadrimestrale, ma ne vale la pena; in cambio si potranno sperimentare eventi sensazionali e mai vissuti prima. Il suo fondatore offre con orgoglio un rigurgito d’infanzia, una piccola età dell’oro in cui trovare avventure e sogni. «Ebbene, noi gli offriamo queste esperienze… , saltare da un muro all’altro, combattere contro strani personaggi, correre a perdifiato per sfuggire agli inseguitori… offriamo un barlume di quello che un tempo era il mondo di Robin Hood o dei cavalieri erranti».

Suggerirei, per parte mia, di non disdegnare l’astuto piano proposto ne La singolare trovata di un agente immobiliare (il padre di Chesterton esercitò questa professione) per ovviare alla crisi degli alloggi e abbracciare finalmente una proficua transizione ecologica.

Ricorda lo scrittore che in quegli anni l’intera zona di Londra, nel cuore stesso della civiltà dunque, gli uomini erano tornati ad essere nomadi. A causa di povertà e disoccupazione nei bassifondi era un incessante cambiar d’alloggio. Non resta allora che rivolgersi ad un agente immobiliare come Mr Montmorency. Il suo ufficio si trova in uno dei quartieri più degradati e sporchi della città fra strade grigie e tortuose. Ma non bisogna farsi condizionare dalle apparenze. Mr Montmorency sa il fatto suo in fatto di alloggi. Ch’egli ami la natura e gli animali è fuori dubbio. Uomo visibilmente stravagante gira con un buffo armamentario faunistico nelle tasche: bestioline di ogni tipo. Può succedere che durante un colloquio nel suo ufficio egli prenda un furetto che zampetta sul tavolo e se lo infili nella tasca dei pantaloni. Oppure, che da quelle stesse tasche, estragga un paio di lucertole o qualche serpentello per posarli sullo scrittoio. Durante una consulenza è stato visto tirare fuori un ragno sudamericano dalla tasca del panciotto e lasciarlo libero di scalare una gamba del tavolo.

Tra i suoi clienti, in realtà l’unico, c’è il Tenente Drummond Keith, un poveruomo che a causa della sua rovinosa situazione finanziaria non fa che vagare da una casa all’altra, o meglio da una stanza all’altra, senza pace e senza dimora. Non ha denaro ma ovunque vada porta con sé due strane lance di tribù selvagge, un ombrello verde, un fucile da caccia, un vasetto contenente un sacro liquore e un’enorme e lacera copia del Circolo Pickwick. Ogni suo nuovo alloggio vede la comparsa di questo assurdo armamentario. L’agenzia di Mr. Montmorency è specializzata in dimore arboree, perfetto compromesso tra il mestiere di botanico, sua grande aspirazione, e quello di agente immobiliare, voluto dalla famiglia. Al Tenente ha procurato una bella casetta in cima, ma proprio in cima su verso il nido dei corvi, su un albero, un olmo. Trovarla con è facile, tanto meno arrampicarsi e salire lassù; per questo il Tenente l’ha scelta. Nessuno potrà scovarlo. «Eravamo tre uomini confusi agli ordini di un pazzo, alla ricerca di un uomo che non c’era in una casa inesistente».

Nel racconto L’inquietante motivo della visita del reverendo, sono le piccole cose a muovere guerra contro di noi, nella rivolta della materia nei nostri confronti; sono le minuzie che ci sbaragliano, non i grandi eventi. L’essere umano è riuscito a sopravvivere a mostri preistorici, tempeste, fuoco, alluvioni, a grandi inferni ma c’è una piccola guerra sotterranea che logora le nostre esistenze: la lotta contro «i microbi e i bottoni dei colletti». Un bottone può cambiare il corso della nostra giornata quando non si sottomette al nostro volere e può scatenare spiacevoli ire e volgari imprecazioni. Ma la tenacia degli uomini è in grado di domare persino quel minuscolo dischetto di madreperla o d’osso che, nell’asola o nell’occhiello, proprio non se la sente di entrare: «Alla fine ero riuscito a sottomettere il bottone, proclamando così l’immagine di Dio sopra tutta la materia» e quando panciotto e giacca sono infine indossati il mondo sembra ritornare al proprio equilibrio. Del resto anche il grande Vladimir Vladimirovič Majakovskij scriveva, a proposito di un semplice chiodo: «Che m’importa di Faust […]. Io so che un chiodo nel mio stivale è più raccapricciante della fantasia di Goethe».

Il principale personaggio che guida tutti questi racconti è Basil Grant, un “investigatore” bizzarro un ex-giudice, un uomo considerato pazzo, ma la cui pazzia gli conferisce la libertà di pensiero e d’azione per risolvere, o almeno comprendere, gli strani casi che si trova a dover analizzare. Confessa di aver lasciato le aule dei tribunali e di aver smesso l’abito di porpora ed ermellino, poiché in quei luoghi, di giustizia non c’è n’è neppure l’ombra. Dichiarato folle per questa sua convinzione il buon Basil si inventa un mestiere che più gli si adatta: il giudice morale. Si tratta di risolvere questioni puramente morali: reati contro egoismo vanità, tirchieria, piccole nefandezze quotidiane, regolarmente sottoposte ad un tribunale criminale volontario. Chesterton vuole creare un diverso tipo di detective-story a favore di un giallo-filosofico. Il reiterato attacco, sornione e ironico, all’investigatore creato da Sir Arthur Conan Doyle, il più famoso Sherlock Holmes, tende a ridicolizzare il metodo deduttivo-positivista allora predominante. Il mestiere che più si adatta a Basil è: il giudice morale, onorevole mestiere di cui oggi c’è grande necessità. Per tutti questi stravaganti, ma assennati suggerimenti: “Grazie, Mr Gilbert!”.

Patrizia Parnisari

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Gilbert Keith Chesterton

Il club dei mestieri stravaganti

collana Chestertoniana

32 illustrazioni originali di G.K. Chesterton

Traduzione di Federico Zaniboni

Lindau Torino 2018

Brossura fresata

139 x 210 x 17 mm

197 pp

265 gr

17,00 €

ISBN 9788867089352