RECENSIONE: Henry James “Tre ritratti”
Nel volume intitolato Tre ritratti sono riuniti tre racconti di Henry James, conosciuto scrittore americano di nascita e con cittadinanza britannica vissuto nella seconda parte dell’Ottocento. Al centro di ogni racconto del libro vi è un dipinto, nella fattispecie un ritratto al quale James impernia solidamente la struttura narrativa.
I racconti non sono coevi ma appartengono a tre età ben distinte di James. Il primo, intitolato Storia di un capolavoro, è stato scritto nel 1868 quando James aveva venticinque anni; quando ha scritto il secondo nel 1873, La signora in giallo (da non confondere con la famosa serie televisiva), ne aveva trenta mentre l’ultimo, La patina del tempo, è stato steso nel 1903, quando ne aveva sessanta.
È possibile notare l’immutabilità nel tempo della concezione dell’arte nel pensiero di Henry James. In ogni racconto, a dispetto del tempo trascorso, il ritratto riesce a condizionare il presente in funzione della qualità introspettiva, visionaria dell’artista autentico, capace di portare in evidenza la verità di una realtà dissimulata. È grazie alle meditazioni suscitate dall’osservazione dei ritratti che tutti i protagonisti prendono drastiche decisioni sulla propria vita. Una “funzione” dell’arte che James promuove con costanza e rigore, denunciando i limiti delle convenzioni sociali. È solo l’artista vero, nella sua libertà generata dalla distanza (se non dall’emarginazione) sociale, a poter disfarsi delle costrizioni e rendere visibile ciò che ai suoi occhi liberi è palese. Il pensiero di Henry James si caratterizza nell’ideale di un romanticismo borghese, particolarmente efficace nel rendere l’intimità psicologica dei personaggi, seguiti passo passo nello svolgersi dei loro personali pareri, considerazioni, riflessioni, propostiti ed emozioni.
L’impianto narrativo risalta nella decisa stilizzazione dei protagonisti di ogni racconto. Ad esempio, i personaggi principali di Storia di un capolavoro sono: Mr John Lennox, vedovo trentacinquenne, ricco di beni, distinto, di maniere eccellenti, abitudini irreprensibili, cultura vasta; Miss Marian Everett, economicamente non dotata ma ricca di ineguagliabile fascino, di buon carattere, estroversa, pienezza di forme e rotondità di linee, non alta, bionda ramata e di grande bocca, grande capacità di sorridere, si scoprirà essere una donna leggera; Stephen Baxter giovane sulla trentina, alto e robusto, viso allegro, vigoroso ed espressivo, fitta barba rossiccia, volto in cui si poteva intravedere l’alto livello di intelligenza e i tratti essenziali del pittore.
Il ritratto de La signora in giallo è stato realizzato dal pittore Briseux, «piccolo, esile, pallido, e aveva l’aria affamata. […] La sua faccia sarebbe apparsa volgare e insignificante, se sotto quelle ombrose ciocche di capelli non avessero brillato uno straordinario paio di occhi, occhi davvero di fuoco. Non erano né dolci né supplichevoli, ma brillavano di una sorta di febbrile, talentuosa penetrazione». Il pittore antagonista, Harold Staines, non possiede alcun talento e «aveva alla perfezione un aspetto distinto che ben si trasmetteva ai gesti e ai modi. Mai ci fu un giovane più bello, serio ed educato. Era alto, esile e biondo, con dei bellissimi riccioli che gli incorniciavano il capo ben modellato, occhi azzurri, freddi e chiari come un mattino d’inverno, una doppia fila di denti così belli che il fatto che sorridesse di rado poteva sembrare quasi un atto di modestia, e una generale espressione di discrezione e maturità che sembrava in sé stessa una protesta contro ogni imputazione di fatuità» oltre a non avere alcuna preoccupazione economica, nemmeno per l’avvenire. Evidentemente, si tratta di stilizzazioni fortemente declinate sull’ordine ideale di matrice borghese identificato sinteticamente nella definizione: “genio e sregolatezza”.
Preponderante la struttura dell’interpretazione sociale prevalente all’epoca: l’artista è sempre povero, brutto e maledetto, ma possiede il riscatto della verità di cui la parte ricca, ossequiosa alle prescrizioni, graziosa e chic, ben protetta socialmente, è totalmente priva. In sintesi, una narrazione viziata dal pregiudizio.
Indiscutibile l’abilità dello scrittore nell’esercizio ecfrastico, nella descrizione dei dipinti, delle loro intensità, dei loro significati ed effetti, condotto nell’obiettivo del ritratto efficacemente sostitutivo alla realtà, più vero del vero. Il genere pittorico del ritratto si presta opportunamente, peraltro, a tal fine. Il ritratto è in ultima analisi un pretesto, sul quale si anima una molteplicità di significati e di memorie, di assenze presenti, di nascite e di morte: presenze evocate visibilmente sullo sfondo dell’atemporalità, nel diminuendo perpetuo che precede l’inevitabile dissoluzione.
Nella cronologia dei racconti è manifesta l’evoluzione della qualità di scrittura di Henry James. Il racconto del 1868 presenta larghe anse descrittive, piuttosto deboli, le quali rendono l’insieme intermittente e non progressivo, conferiscono al testo una tal quale “mollezza”. Particolarmente differente l’ultimo racconto, scritto circa trent’anni più tardi, nella scorrevolezza di situazione, nell’aderenza funzionale delle descrizioni e nella compattezza dell’insieme decisamente compiuta, da permettersi una punta d’ironia.
Andrea Oddone Martin
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Henry James
Tre ritratti
Collana Minimalia
Cura Piero Pignata
Ibis Como Pavia 1997
Brossura fascicoli cuciti
110 x 170 x 10 mm
140 gr
138 pp
10,00 €
ISBN 9788871640679