RECENSIONE: Hermann Broch “La morte di Virgilio”

RECENSIONE: Hermann Broch “La morte di Virgilio”

È uno scontro titanico, quello che si svolge nelle pagine del capolavoro di Hermann Broch. Uno degli indiscutibili capisaldi letterari della crisi dell’individuo che riesce finalmente a manifestarsi nel Novecento in forma suppurativa, sulla profonda ferita precedente, apertasi diversi secoli prima. La ferita apparve con una timida ma determinante incisione negli ultimi anni della Scolastica, attorno al XIII secolo. Progressivamente ed inesorabilmente, la lesione ampliò lo iato fino allo scostamento decisivo, con l’imporsi del moderno sguardo scientifico sul mondo, tra il XVI e il XVII secolo. La moderna visione, stanca dell’antica centralità di un cosmo che integrava l’uomo negandogli la vanità di potenza e obbligandolo allo stesso tempo alla responsabilità, spostò il baricentro universale sul policentrismo individuale. Viene a determinarsi quella fatale inversione per cui non riveste alcuna importanza ciò che è l’uomo nel mondo, bensì ciò che è il mondo per l’individuo. Non in seconda istanza ed autoreferenzialmente, ciò che egli è per sé stesso. La complessità del mondo non conoscerà più un disegno unitario di riconoscimento, ma l’esplosione policentrica delle illimitate possibilità.

La deriva, la solitudine irredimibile dell’uomo moderno trova la propria origine in questa perentoria rivoluzione. Occultata dall’energia di un progresso tutto ideale, materiale e tecnologico, dissimulata tra le coltri di un possibilismo inesauribile quanto entusiasta, la crisi esistenziale proseguì indisturbata, mandando in cancrena la piaga. Le manifestazioni artistiche novecentesche non riuscirono e non poterono più mascherare ottimisticamente gli esiti purulenti in cui la condizione umana naufragò. Nel 1896, la prestigiosa Revue des Deux Mondes battezza l’epoca contemporanea come L’Âge de l’Affiche (L’età del Poster): «il Poster non ci parla che di noi stessi, dei nostri piaceri, dei nostri gusti, dei nostri interessi, della nostra alimentazione, della nostra salute, della nostra vita. Non ci dice “prega, obbedisci, sacrificati”. No, il Poster ci bisbiglia all’orecchio “divertiti, pensa a te, mangia, và a teatro, al ballo, al concerto, leggiti un romanzo divertente, fatti una bella birra, un buon brodo, un sigaro come si deve, mangiati tutta la cioccolata che vuoi. Continuino pure gli architetti ad innalzare chiese […]. La vera architettura del nostro tempo è il Poster, questa facciata effimera, demolita ogni sera e ricostruita ogni mattina, coi suoi mille colori sotto i quali sparisce il vecchio monumento di pietra …». Non più liberi di fare qualcosa, ma qualsiasi cosa.

Il monumento di pietra e la facciata di carta: la letteratura del Novecento denuncia, nei suoi esiti più alti, l’idea che gli esseri umani siano diventati delle unità plurali e indeterminate, viventi in metropoli che li sottopongono ad eccessive e continue stimolazioni, abbandonati alla dimensione sognante ed irreale di un multiverso possibilista quanto vuoto, depositari o bersagli di patologiche psicosi, naufraghi nella totalità dissipata. È qui che incontriamo, tra gli altri, scrittori come Robert Musil, James Joyce, Hermann Broch, Franz Kafka.

Ci si può chiedere il motivo per cui Broch abbia scelto un protagonista così antico per un romanzo pubblicato a New York nel 1945. «In Virgilio si ha forse per la prima volta nella storia la pienezza della sensazione che la poesia ha di sé come evento già “maturo”, e ciò specialmente nell’Eneide, in cui domina una luce densa di dubbio, carica di penombre, mai trionfale. Nell’Eneide si è ormai al polo opposto del poema libro fondamento di una civiltà, libro scritto da Dèi che lo dettavano personalmente a profeti, o libro come conchiglia marina in cui si accoglie l’eco immensa della vitalità nascente di un popolo». Così indicava Andrea Zanzotto, in un contributo del 1981. È perciò indubbio che l’opera di Publio Virgilio Marone svolga, per le proprie caratteristiche ed in netto anticipo sui tempi, un ruolo modulante nella storia della letteratura. L’eroe dell’Eneide non agisce soltanto, nell’intimo non aderisce all’unilateralità degli impulsi che provengono dagli Dèi: è afflitto da ripensamenti, malinconie, dubbi. Una condizione che Broch attribuisce all’autore dell’Eneide, facendone il portatore cosciente del futuro tragico in cui lo scrittore tedesco, antenna sensibile e colta, è immerso. La mente di Virgilio morente diventa così il luogo del possente conflitto tra oggettività metafisica e soggettività individuale.

Articolata nell’antica disposizione degli elementi primari fondamentali, La morte di Virgilio si fa mappa del campo di battaglia: le riflessioni, le allucinazioni e le profonde intuizioni di Virgilio costruiscono una costellazione potente ed arcana che si confronta con la Natura lussureggiante, con la pietrificata civiltà, con la meravigliosa funzione della vista, con l’operosità della pace nella vita umana in accordo con la Natura, con il valore delle immagini, con la massa umana, l’humus, con la notte, con la natura della pietra, con il sovrano destino, la morte, il tempo, la memoria, il suono dell’istante, col principio e con la fine, col rigore della legge e del tempo, le necessità dell’anima, con la bellezza e i suoi limiti, con la potenza del riso, si inoltra nella distinzione tra l’uomo di campagna e l’uomo di città, rievoca miti quali quello di Orfeo, con l’estremismo dinamico dell’attesa, con la disillusione, con la tomba, con l’immortalità dell’atto creativo, con il cuore del sogno, il valore del simbolo, la scomparsa degli Déi, lo stordimento nell’ebbrezza, evoca immagini luminose come “la cupola del nulla che genera la realtà”, con la nostalgia, l’abisso silenzioso, nella tensione impegnata nell’evitare la futilità informativa, perseguendo invece tenacemente l’approfondimento della conoscenza dovuta alla creazione: un colossale ardore ontologico nel mistero della vita. L’immaginazione di Virgilio trova l’intelligente apertura delle sue allucinazioni, ma pure l’incomprensione del medico, calato nell’ambizione del prestigio, dei suoi amici che cercano comunque di confortarlo, di Ottaviano Augusto e la sua totalizzante ma riduttiva visione dell’impero.

Lettura tra le più appassionanti, romanzo in equilibrio tra lirismo linguistico, indagine filosofica e la vocazione poetica di Hermann Broch, riconosciuta particolarmente da Hannah Arendt. Libro in attesa del lettore evoluto per aprirsi in tutto il suo splendore. Si tratta di uno di quegli ormai rari casi in cui l’ingiunzione degli annunci commerciali “no perditempo” assume radicalmente il proprio significato.

Andrea Oddone Martin

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Hermann Broch

La morte di Virgilio

Collana Universale Economica Feltrinelli

Prefazione Ladislao Mittner

Traduzione Aurelio Ciacchi

Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano 1962/2023

Brossura fresata

130 x 199 x 34 mm

460 gr

547 pp

16,00 €

ISBN 9788807887963