RECENSIONE: István Örkény “Novelle da un minuto”

RECENSIONE: István Örkény “Novelle da un minuto”

Minuto più minuto meno, le cinquantacinque novelle di István Örkény (1912-1979) si possono davvero leggere, come consigliato dallo stesso autore, nelle Istruzioni per l’uso, mentre camminiamo, o mentre l’uovo cuoce oppure quando siamo in attesa di qualcuno o forse del tram. La brevità e varietà di temi lo consente. Si può andare con ordine o iniziare dalla fine o saltellare qui e là perché questo libricino è straordinario. Forse potremmo anche leggerlo sottosopra a testa in giù proprio come il protagonista della novella Che cos’è il grottesco invita a fare. È solo in quella posizione che possiamo capire la realtà: «a gambe divaricate, piegatevi profondamente in avanti e, restando in questa posizione, guardate indietro in mezzo alle gambe». Cosa vediamo? Sicuramente un mondo sospeso, alla rovescia, a gambe all’insù; le macchine ci passano davanti con le ruote rivolte verso l’alto, un boccale di birra ha la schiuma che spumeggia all’ingiù, i fiocchi di neve salgono verso il cielo, i becchini tirano su le bare dalla fossa. Un mondo grottesco, falso e stralunato; perché questa è l’essenza delle novelle e di buona parte dell’opera di István Örkény. Basterebbe citare Giochi di gatti o l’opera teatrale La famiglia Tót. Fu questo dramma, messo in scena per la prima volta nel 1967, che gli diede fama mondiale. Le novelle furono riscritte e perfezionate più volte e in ogni edizione ne venivano inserite di nuove.

Nella postfazione al volumetto, lo scomparso magiarista Giampiero Cavaglià fornisce una panoramica storico-letteraria ed estetica örkéniane: «La realtà capovolta di Örkény non è nient’altro che la concreta realtà dell’Ungheria i cui abitanti vengono continuamente costretti dalla storia ad accettare l’inaccettabile, a impiegare risorse enormi per ottenere risultati minimi. Il grottesco diventa quindi un modo molto centroeuropeo di guardare la realtà, la capacità di far rivestire alla tragedia i panni della farsa e di renderla non solo sopportabile ma divertente». I suoi connazionali vivono persino sulla luna e pare stiano bene. Infatti, nella novella È tornato sulla terra il razzo lunare ungherese, nell’inverosimile intervista ad uno dei due astronauti di ritorno dalla luna, viene chiesto se abbiano trovato tracce di vita umana: ebbene sì, «è stata una piacevole sorpresa constatare che sono ungheresi, ormai perfettamente acclimatati alle grandi variazioni di temperatura e alle altre condizioni del luogo».

Nel mondo rovesciato dello scrittore sono, ad esempio, gli attori, in La morte dello spettatore, a recarsi a casa degli spettatori per una piece teatrale. E naturalmente sarà uno dei padroni di casa a morire realmente durante la rappresentazione suscitando applausi e ovazioni da parte degli attori. In un’altra novella di nuovo si ribalta la situazione. In La morte dell’attore, quest’ultimo dopo essere spirato nel tardo pomeriggio, si trascina, pur morto, a fatica a teatro nonostante il tragico evento per la recita del Re Lear la sera stessa. Visibilmente stanco recita la morte del re con enfasi e sublime talento come mai gli era accaduto nella vita. Örkény ama giocare con la morte e nel 1969 a Parigi riceve il Grand Prix de l’Humour Noir. Un mondo alla rovescia il suo che, in Ufficio Informazioni, diventa ancora più estremo. Le immagini della novella girano all’indietro come in una pellicola cinematografica alla moviola. Il nastro vi riavvolge. Nella Fabbrica di Spezzatino di Coniglio e di Zuppa di Pesce ha iniziato a funzionare un nuovo reparto, quello dell’Apriscatole. Le confezioni appena chiuse e pronte vengono riaperte. I pezzi di coniglio o di pesce vengono ripuliti dai condimenti e gli animali originari vengono riassemblati e rimessi in natura. Tutto questo per riportare in vita i principi dell’umanitarismo. Paradosso per paradosso in Matematica, dopo aver cenato in un buon ristorante Albert Einstein al momento di pagare il conto polemizza con i camerieri per via della cifra inesatta da pagare. Non è per i pochi spiccioli, nossignore! Ma è per il prestigio e l’esattezza della matematica. Il conto viene fatto e rifatto da più persone più volte, ma non se ne viene a capo, il conto è esatto. Come è possibile? «Siedo qui come Galilei davanti al tribunale ecclesiastico». L’insigne fisico ha sbagliato una somma tanto semplice.

Altre novelle, invece, si muovono su di un piano più surreale e sognante. Alcuni esempi di realizzazione di se stessi, è la fantastica storia di un bimbo che come quasi tutti i piccoli desidera diventare… chissà, forse un pilota o un macchinista di locomotiva. E fin qui nulla di strano. Ma ecco che all’incontentabile piccino non basta essere il macchinista, no, vuole essere locomotiva stessa, anzi più precisamente il rapido per Vienna. Non ha dubbi. E come cercare di dissuaderlo? Ci prova il parroco esortandolo a diventare ciottolo o la mamma che vorrebbe che il figliolo da grande si facesse uovo perché, la saggia donna insegna, l’uovo è nascita e trapasso in un’unica cosa, qualcosa di molto importante. Tramontato il proposito d’essere un rapido per Vienna il ragazzo, confuso tra tanti consigli premurosi, finalmente prende la sua strada: sarà sabbia in una clessidra. Sì, perché «la sabbia è il simbolo ancestrale dell’assenza di tempo, la clessidra lo è invece del tempo che passa». Ottima scelta! E sabbia sia. Un posto di lavoro comodo e sicuro ma che certo comporta dei rischi e molte rinunce. Se scivola su un piede o mette su pancia il povero lavoratore della sabbia si incastra nel collo stretto stretto del vetro con il rischio di rimanere strangolato o schiacciato dalla sabbia che preme dall’alto. Per un tipetto come lui tutto ardore e passione che avrebbe voluto essere addirittura il rapido per Vienna o persino, tra le molte opzioni, «il vuoto in una lampada a incandescenza» aver puntato tutto il proprio destino su un impieguccio di ripiego è ben triste. Ah se soltanto non fosse stato così codardo, se soltanto avesse osato. Ma ormai la scelta d’esser sabbia di clessidra lo fa scorrere su e giù, su e giù per sempre. Ma davvero avrebbe potuto scegliere altro destino? E se il rapido per Vienna avesse deragliato?

Surreale per surreale, ecco la novella L’ultima questione. Un uomo è minacciato di morte da uno sconosciuto entrato in casa. Ma mentre il ladro sta per tirare fuori l’arma, ha soltanto tre proiettili assicura, il tempo per il padrone di casa si dilata, cambia completamente registro. In questa sperequazione, egli può passeggiare avanti e indietro per la stanza pensando alla vita passata come si fa in punto di morte; può accendere il camino e telefonare agli amici per un addio e mettere in ordine tutti i documenti delle sue proprietà; scrivere le ultime lettere di congedo dal mondo. Questa disparità di tempo avviene nello stesso luogo e i due uomini sono l’uno di fronte all’altro. Uno spara, l’altro continua le sue telefonate e procede con le sue attività testamentarie prima di essere colpito; sbriga tutte quelle incombenze che vanno espletate prima di abbandonare la vita. Poi schiva un altro proiettile. Naturalmente ci vuole tempo per portare a termine tutti i suoi affari, ma lui tempo ne ha. Manca ancora un proiettile ma il suo tempo non è quello dell’assassino. E dunque? Il lettore avverte fortemente l’anomala difformità temporale che suscita profonda inquietudine come se quella discordia dei tempi ci stringesse da ogni parte in quella stessa stanza e nella nostra. Assai vicino in questo all’opera teatrale e ai racconti del polacco Sławomir Mrożek e al teatro del rumeno Eugène Ionesco.

E che dire di quella povera famiglia, della novella Che cos’è? Che cos’è? ridotta alla follia a causa di una sventura proprio inaspettata che non trova soluzione. Costoro (non vogliono che si faccia il loro nome e non sarò certo io a farlo) hanno acquistato dopo anni e anni di sacrifici una bella casetta. Ma per comprarla ognuno ha dovuto rinunciare a qualcosa di molto importante. Il capofamiglia ha sgobbato duramente ed ora è ridotto ad una larva; la sua consorte ormai ha perduto la ragione per via di tutte le pratiche burocratiche a cui è stata sottoposta per l’acquisto della nuova casa: «Ora dà delle grandi manate sui muri, che ci siano mosche o no». La figlia è inconsolabile, misera fanciulla, perché costretta ad un matrimonio d’interesse con un uomo che detesta, per poter entrare in possesso di una bella sommetta per i lavori. E il figlio, povero disgraziato, ha dovuto rinunciare a studiare da dottore perché altrimenti il tetto di casa sarebbe rimasto senza travature e questo, per ovvi motivi, non sarebbe stato possibile. Ecco, finalmente la casa è pronta. Davvero bella! Ma ogni membro della famiglia sta impazzendo: sono tutti afflitti da un misterioso, terribile prurito, un prurito eccezionale, anomalo. Nulla riesce ad attenuare quella tortura, né pomate, o medicamenti, polveri, terapie. Si propaga su tutta la superficie del corpo e la notte diventa un incubo. Non si può star seduti ma neppure in piedi, tanto meno sdraiati. Mangiare non si può, né riposare o camminare. Ora la casa c’è ma non la si può abitare. Per questo si sente urlare e gemere tra le pagine in cerca di aiuto: «Così non si può vivere». Per favore, se qualcuno ha qualche rimedio da sottoporre contatti subito la famiglia.

Sono molti i personaggi in queste novelle a immaginare identità diverse, da vivi e da morti. Parabole è certo la più divertente e porta il sottotitolo Alzati e cammina! Ovvero La crisi dell’individuo. Un uomo vestito di stracci, avvolto da un odore nauseabondo viene condotto in guardina: è stato colto sul tram n. 77 con la patta dei calzoni sbottonata e sembra abbia palpato il sedere della direttrice di un ginnasio femminile seduta accanto a lui. Ma non è tutto, spiega il controllore: al posto del biglietto l’uomo avrebbe consegnato un lurido pezzo di stagnola sporca di formaggio fuso! Di fronte a questi crimini ci vuole proprio una bella ammenda. Ma Tuza, l’accusato, non si scompone. Semplicemente non è colpevole, e come potrebbe esserlo? Lui è un insigne ricercatore presso una famosa Stazione di Bonifica dei Terreni. I suoi articoli sono pubblicati in riviste scientifiche. Perché mai dovrebbe andare in giro a palpare le signore sui tram con i pantaloni sbottonati? E allora chi è davvero Tuza? Da quel momento nel commissariato c’è un andirivieni frenetico di persone che riconoscono in Tuza personaggi diversi e famosi. Qualcuno è certo di ravvisare in lui un campione olimpico di lancio del peso e per questo gli viene chiesto di indossare la sua tuta da atletica e cimentarsi in un lancio portentoso. Tuza si immedesima ed esegue. È poi la volta dell’Accademia Tedesca delle Scienze che arriva trafelata per omaggiare in pompa magna lo scopritore del vaccino contro il cancro. Tuza indossato il frac si lascia adulare e fotografare per la cerimonia. E così via, con una serie di travestimenti e identità alla Zelig. Ma quando nel commissariato stracolmo di curiosi cominciano ad arrivare, gettati dagli elicotteri, pacchi dono contenenti carne in scatola kosher, il rabbino capo della comunità ebraica di New York, seguito da un folto e maestoso gruppo di sacerdoti, chiede: «É questa la guardina di via Sodrony? Abbiamo sentito dire che è arrivato il Messia e che si trova qui». E così, in quel momento proprio lì in guardina, prende fuoco un roveto. È un segno!

Durante l’interrogatorio, soltanto alla fine, Tuza ammetterà di essere tutte quelle personalità, Messia compreso, ma sostiene anche di essere l’uomo vestito di stracci che sui tram si apre i pantaloni e palpa le signore dal sedere abbondante, unica gioia della sua vita. Pochi fiorini d’ammenda e poi via di nuovo verso la libertà; può lasciare la guardina. Ma Örkény fa compiere al suo personaggio strampalato un ultimo ribaltamento. Tuza uscendo dal commissariato si gira, alza la mano e benedice coloro che sono nella stanza, come farebbe il Messia. Poi si leva verso il cielo.

Patrizia Parnisari

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István Örkény

Novelle da un minuto

Collana Tascabili e/o

Cura di Gianpiero Cavaglià

Edizioni e/o Roma 1991

Brossura pagine incollate

111 x180 x 10 mm

160 pp

130 gr

12.000 £

ISBN 9788876411106