RECENSIONE: Jeremy Eichler “L’eco del tempo”

RECENSIONE: Jeremy Eichler “L’eco del tempo”

In un primo momento dà l’impressione di una pubblicazione saggistica. Nel risvolto, l’autore viene presentato come storico, saggista, critico musicale, giornalista nonché insegnante. Titolo e sottotitolo (Quattro compositori, la guerra e l’Olocausto, la musica della memoria) forniscono con proprietà l’argomento trattato. La stessa ampiezza del libro, che consta di 430 pagine comprese di apparati, suggerisce l’appartenenza al genere di studio critico. Ma la lettura non conferma l’impressione, ci troviamo in mano uno scritto impegnato soprattutto nell’elusione della propria vera natura. Non si tratta quindi di un saggio, né piuttosto di un romanzo. Neanche di una sorta di raccolta di racconti, nemmeno di un approfondimento musicologico. Nella sua recensione al libro, Wlodek Goldkorn lo definisce un possibile metaromanzo. A nostro parere si colloca nella più schietta tradizione giornalistica: si tratta di uno smisurato editoriale, di un imponente articolo di fondo.

La tesi che innerva gli undici capitoli descrive felicemente l’immediatezza spontanea, la freschezza d’intenti che caratterizza generalmente l’approccio culturale d’oltreoceano. Eichler afferma risolutamente che: «la musica è depositaria di una “storiografia inconsapevole”», «è un vettore di memoria per i posteri», «ha il potere di mantenere aperto uno straordinario canale di comunicazione con il passato», «riflette gli individui e le società che l’hanno creata, coglie e preserva qualcosa di essenziale dell’epoca che l’ha vista nascere», «ha il potere di far rivivere la storia, di riavvicinare cose lontane, di sconvolgere il decorso lineare del tempo». Del resto «la capacità della musica di far balenare lampi di memoria è un’esperienza che conosciamo tutti: basti pensare a quando la radio trasmette una certa canzone e senza preavviso, come Proust alle prese con la celebre madeleine, riviviamo un momento o un’esperienza che risalgono ad anni, addirittura a decenni prima».

Il “metodo” applicato da Eichler è mutuato a piè pari dall’opera di George W. Sebald. La medesima frequentazione dei luoghi, l’identica pratica fotografica riportata nelle immagini sul libro. Però, a differenza di Sebald, che traguarda l’opera letteraria e poetica, Eichler utilizza la piattaforma sebaldiana nel perseguimento privato di sostenere la propria interpretazione morale dell’opera di Schönberg, Britten, Strauss e Šostakovič. Infatti, per Eichler le opere di questi splendidi artisti sono «memoriali di note intrisi di fortissime risonanze morali», «mutevoli costellazioni di suono e di significato», «immani profondità della loro meditazione luttuosa». In pratica, «il senso musicale che – secondo Eichler – percepiamo nelle opere stesse».

A suffragio della propria opinione, l’autore riunisce una torma policroma, una polivalente e folta schiera di personalità di riferimento culturale. Si rilevano schegge di Jean-Jacques Rousseau, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, John Berger, Thomas Mann, Goethe, Svetlana Boym, Friedrich Schlegel, Osip Mandel’štam, Gershom Sholem, Peter Gay, Adolf Loos, Roland Barthes, Marcel Duchamp, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud, Ernest Hemingway, Daniel Libeskind, Rainer Maria Rilke, Winston Churchill, Robert Musil, Daniel Defoe, Henry James, T.S.Eliot, Paul Klee, Marcel Proust, Andreas Huyssen, tra gli altri.

Senza indugi, Eichler denuncia la posizione filonazista di Richard Strauss, ricavandone gli assunti dal repertorio musicologico sul rapporto tra Strauss e la musica dell’avvenire teorizzata da Nietzsche. «Si vede che Strauss l’aveva sentita, la musica dei sogni di Nietzsche», chiosa Eichler. Al quale sfugge però la complessità del pensiero nietzschiano sull’arte, della dicotomia generativa appollineo-dionisiaca.

Ma non importa, ad Eichler interessa far conoscere la propria idea sul profilo morale delle opere dei musicisti di cui tratta per cui, ad esempio: «la musica di Schönberg era sempre stata la radiografia di una profonda “dissonanza sociale” annidata sotto la superficie, aveva rivelato gli impulsi brutali che covavano in forma latente nel cuore stesso della società moderna», oppure nel caso del Un sopravvissuto di Varsavia op. 46 «la musica di Schönberg si affermava come il suono stesso della memoria pubblica».

A maggior merito, il libro si conferma una messe informativa sovrabbondante costituita da aneddoti, istanze sociali e culturali, episodi, accadimenti, testimonianze dirette e indirette del tempo e delle vite di questi magnifici quattro compositori. Cronaca di un periodo buio dell’umanità occidentale, attraversato dalle vite creative di autentici artisti. Con questa pubblicazione, il paradossale Eichler pone rimedio al problema di «come conoscere, onorare, commemorare il passato, come instaurare un legame […] in un mondo afflitto da infinite distrazioni, oggi che le informazioni intorno alla storia hanno preso il posto della conoscenza storica».

Infine, la qualità del pensiero di Jeremy Eichler si definisce nell’attribuzione del titolo: «il libro è anche un elogio dell’ascolto in profondità, come mi piace chiamarlo, cioè della capacità di sentire nella musica il riverbero di un’epoca, l’eco del tempo».

Andrea Oddone Martin

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Jeremy Eichler

L’eco del tempo

Collana Gli specchi

Marsilio Editori Venezia 2023

Brossura fresata

142 x 214 x 36 mm

495 gr

431 pp

22,00 €

ISBN 9788829719648