RECENSIONE: Joseph Conrad “Cuore di tenebra”
Canta, Charles Marlow, appoggiato con la schiena all’albero di mezzana del Nellie, alla fonda sul Tamigi in attesa del riflusso per salpare verso la foce. Ad ascoltare Marlowe l’avvocato, ottimo vecchio, il ragioniere con la scatola del domino, il Direttore delle Compagnie ospite e il titolare della voce narrante. Per diffusa opinione, il cantore si traveste da Corto Maltese: l’avventuriero fascinoso, l’esploratore di culture esotiche e incomprensibili, lo sguardo ammiccante alla vastità dell’orizzonte. Uniforme sbottonata ed orecchino, cappello da ufficiale e cicca penzolante, figura liminale tra forma e caos, tra civiltà e inciviltà, tra ordine regolare e selvaggia ferinità. Doxa riduttiva, se non impropria. Charles Marlow «aveva le guance incavate, la pelle giallastra, il busto eretto, l’aspetto ascetico, e con le braccia abbandonate e le palme delle mani volte all’infuori assomigliava a un idolo».
Canta, Marlow novello Omero, i canti della Sapienza. Al sopraggiungere dell’oscurità, la sua voce dispiega l’antico canto originario, due i protagonisti: il signor Kurtz e gli uomini. Non importa se sono africani selvaggi, bianchi colonizzatori, dotati di giacche e macchine fumanti o di frecce e scalzi, devoti a demoni oppure a dèi, asserviti al denaro o al cannibalismo, coperti da disciplinate redingote o da severe cicatrici e tatuaggi rituali. «È manifesto – scrive Giacomo Leopardi nello Zibaldone – che la nostra civiltà, che si crede essenzialmente appartenerci, non è stata opera della natura, non conseguenza necessaria e primordialmente preveduta delle disposizioni da lei prese circa la specie umana (e tale dovrebb’essere, s’ella fosse perfezione), ma del caso».
Il soggetto assoluto del romanzo di Conrad è la civiltà, risulta dunque fuorviante proiettare l’opera sul fondale oppositivo dell’europeo avido e sfruttatore e dell’africano debole e sottosviluppato, della cupidigia colonialista europea e della prona sottomissione tribale africana. Come spiega Leopardi nello Zibaldone, non vi sono differenze: «E sì i viaggi sì le storie tutte delle nazioni antiche dimostrano che quanto la società fu o è più vicina a’suoi principii, tanto la vita degl’individui e de’popoli fu o è più lontana e più contraria alla natura. Onde con ragione si considerano tutte le società primitive e principianti, come barbare, e così generalmente si chiamano, e tanto più barbare quanto più vicine a principii loro. Né mai si trovò, né si trova, né troverassi società, come si dice, di selvaggi, cioè primitiva, che non si chiami, e non sia veramente, o non fosse, affatto barbara e snaturata. Dalle quali osservazioni si deduce per cosa certa e incontrastabile che l’uomo non ha potuto arrivare a quello stato di società che or si considera come a lui conveniente e naturale, e come perfetto o manco imperfetto, se non passando per degli stati evidentemente contrarissimi alla natura».
Qual è la natura del romanzo di Conrad, di questa narrazione scolpita sulla superficie della profondità marina, di queste parole, segni evocatori del mistero? «Malgrado l’apparenza – scrive Giorgio Manganelli nel 1981 sul settimanale L’Europeo – Conrad non è uno scrittore di storie da “raccontare”; in realtà, è estremamente monotono, nel senso che il suo tema essendo il centro, nessun altro tema potrà mai prenderne il posto». È questo centro, il tema essenziale della letteratura di Conrad. «Presto ci si accorge – continua Manganelli – che la monotonia essenziale di Conrad è ciò di cui non vorremmo in nessun caso rinunciare, come quell’insieme di malessere e di decenza di cui egli è l’instancabile portatore».
Con un’abilità superba, Cuore di tenebra mette in scena la parabola dell’origine, ripropone l’eterno mito fondativo. Abele viene ucciso da suo fratello Caino che fonda la città di Enoch, Remo viene ucciso da suo fratello Romolo che fonda la città di Roma. Il destino del signor Kurtz è quello della vittima sacrificale, del capro espiatorio che permette l’ordine civile. La sua connotazione vi aderisce perfettamente e completamente. Nel romanzo di Conrad infatti, il signor Kurtz pare disporre di un potere miracoloso su tutti, ma si tratta di un potere che supera ogni sua volontà. «Nella sua qualità di fonte apparente di ogni discordia e di ogni concordia, la vittima originaria gode di un prestigio sovrumano e terrificante – attesta René Girard – È in tale prestigio che bisogna ricercare il principio di ogni sovranità politica e religiosa».
Ogni persona del romanzo, incluso Marlowe, attribuisce doti eccezionali al signor Kurtz, lo considera un genio. Si tratta invero di un’apparenza a fronte della quale il signor Kurtz non può nulla, come afferma acutamente Girard: «L’idea è perfino troppo complessa per essere l’intenzione pura e semplice di individui avidi di potere, oppure bisogna attribuire a costoro un’intelligenza e una potenza letteralmente insondabile, il che equivale ancora a sacralizzarli. Il re non è un capobanda glorificato, circondato da uno scenario sfarzoso e che dissimula la sua origine dietro un’abile propaganda sul “diritto divino”». Infatti, nel romanzo di Conrad: «Quella terra selvaggia lo (il signor Kurtz) aveva accarezzato, ed ecco, lui si era avvizzito; lei lo aveva preso, amato, avvinto, gli era penetrata nelle vene, aveva consumato la sua carne, suggellato la sua anima alla propria coi riti inimmaginabili di chissà quale diabolica iniziazione. Ne aveva fatto il suo beniamino, coccolato e viziato».
Il canto di Marlowe non viene compreso dai suoi quattro compagni, tuttavia ne sono affascinati profondamente al punto da dimenticare di salpare al momento opportuno. Come probabilmente accadrà di nuovo al lettore di Cuore di tenebra di Joseph Conrad.
Andrea Oddone Martin
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Joseph Conrad
Cuore di tenebra
Collana ET Classici
Cura Giuseppe Sertoli
Traduzione Alberto Rossi
Einaudi Torino 1999
Brossura fresata
120 x 195 x 17 mm
240 gr
293 pp
12,50 €
ISBN 9788806177034