RECENSIONE: Jules Verne “Mastro Zacharius, l’orologiaio che aveva perduto l’anima”

RECENSIONE: Jules Verne “Mastro Zacharius, l’orologiaio che aveva perduto l’anima”

Non uomo, ma bilanciere. Ingranaggio d’orologio, Mastro Zacharius non cammina, oscilla come scandisse le ore, i minuti, i secondi della propria esistenza. Anche il capo dondola sulle spalle magre e ossute. Al vento, la lunga capigliatura ondeggia ormai bianca. Se ne sta in disparte Zacharius, ama il suo laboratorio dove è sempre pronto il banco da lavoro, dove può assemblare, riparare, inventare qualsiasi tipo di orologio. Egli lavora e dorme nella stessa stanza, in uno scantinato umido e di poca luce. Non è certo confortevole la sua dimora, costruita su di una palafitta a livello del fiume. La sua, una delle tante abitazioni che si lasciano attraversare dal Rodano tra palafitte, reti, tronchi d’albero marciti.

In questo vecchio quartiere di Ginevra, Mastro Zacharius vive con la figlia, un apprendista e un’anziana domestica. La sua vita potrebbe dirsi monotona se non fosse che il vecchio vive una grande passione che lo consuma e lo esalta: gli orologi. Il segreto del tempo lo divora. «Io sono l’anima di tutti quegli orologi; ho racchiuso una parte di me stesso in ognuna di quelle scatole di ferro, d’argento o d’oro! Ogni volta che uno di quegli orologi maledetti si ferma, sento il cuore che cessa di battere, perché li ho regolati sulle mie pulsazioni! Disgrazia e tormento!» e disgrazia sarà.

Lo racconta Jules Verne in Mastro Zacharius o l’orologiaio che aveva perduto l’anima. Ha soltanto venticinque anni quando scrive questo piccolo libro eppure già si intravvedono buona parte dei temi che accompagneranno la sua produzione. La posizione materialista sostenuta dal suo personaggio non lo trova ancora d’accordo a causa della sua profonda educazione cattolica che in quel momento lo guida. Bisognerà attendere le opere successive per vederlo abbracciare la scienza immaginifica dei suoi romanzi. Temi quali il tempo, le invenzioni, la follia, saranno sempre presenti nelle sue opere a cominciare proprio da questo bellissimo racconto. L’idea gli è suggerita da un articolo sulla storia dell’orologeria apparso sulla stessa rivista nella quale Verne pubblica i suoi racconti. La straordinaria storia della vita di Gerberto di Aurillac sarà lo spunto per costruire il personaggio del vecchio orologiaio pazzo.

La vita di Mastro Zacharius cambia repentinamente quando giunge la notizia, incredibile e nefasta, che tutti gli orologi fabbricati e venduti da lui si sono fermati di colpo. Dopo averli smontati e rimontati più volte il vecchio non può che constatare che tutto è ancora perfetto, molle, meccanismi, ma gli orologi sono privi di movimento, hanno fermato il tempo. La giovane e saggia figlia sostiene che tutto su questa nostra terra ha dei limiti e che dalle mani degli uomini non può uscire l’infinito. Ma è l’orgoglio che guida Zacharius, un orgoglio smisurato, lo stesso che affligge buona parte dei personaggi di Jules Verne e che li conduce forzatamente alla rovina. «L’orgoglio era cresciuto nel suo cuore, come il mercurio nel termometro, e aveva raggiunto la temperatura delle follie trascendenti; per analogia, era arrivato a conclusioni materialiste, immaginava di aver scoperto i segreti dell’unione di anima e corpo». 

Ma quando tutti gli orologi si fermano, il presagio di Zacharius sulla fine ormai prossima della sua vita si avvera. Una figura strana ed inquietante si affaccia al suo laboratorio. Si presenta in veste di collega; egli è colui che è incaricato di regolare il sole. Impossibile decifrarne l’età, basso con una grossa testa schiacciata sembra un pendolo, la faccia il quadrante, i denti fatti a guisa di ingranaggi di rotelle e stridono. Le braccia si muovono proprio come lancette. Anche la voce riproduce il suono metallico di un rintocco e il suo cuore batte come un orologio: tic-tac tic-tac. Quell’uomo ha in mano la vita di Mastro Zacharius perché possiede l’ultimo orologio ancora in funzione.

La paura ormai di morire si è fatta ossessione. Si ammala, si mette a letto. Ma poi ricorda qualcosa e corre a consultare il suo libro dei clienti ed esulta. Ecco, c’è ancora un orologio venduto che funziona ed è quello che ora lo mantiene in vita: «Venduto al signor Pittonaccio un orologio di ferro, con suoneria e personaggi mobili, depositato nel suo castello di Andernatt, in mezzo ai Dents-du-Midi». Zacharius è convinto che ormai non può morire poiché è diventato pari al creatore dell’universo e ne ha condiviso la potenza. Se Dio ha creato l’eternità, lui ha creato il tempo, o almeno questo è ciò che il vecchio orologiaio sostiene. Dunque non rimane che raggiungere il castello, o meglio quel che ne rimane. Rovine e macerie, torri diroccate, ammassi di pietre, sale devastate, cortili simili a cimiteri. Eppure l’orologio, un oggetto meraviglioso e potente che rappresenta una vecchia chiesa romanica e che ha in mano la vita di Zacharius si trova lì, da qualche parte insieme al suo vecchio orrido custode. Il racconto, che ha un finale coinvolgente e inaspettato, è ricco di simboli e di questioni filosofiche e religiose. Verne le pone senza dare risposte e lascia che questi personaggi descritti e presentati con tanta forza sposino ora una tesi ora l’altra fino ad arrivare allo scioglimento finale.

Patrizia Parnisari

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 Jules Verne

Mastro Zacharius o l’orologiaio che aveva perduto l’anima

Collana Le occasioni. Piccola biblioteca Passigli

Prefazione e traduzione di Maurizio Ferrara

Passigli Editore Firenze Antella 2005

Brossura fascicoli legati

114 x 184 x 9 mm

100 gr

92 pp

8,00 €

ISBN 9788836809455