RECENSIONE: Karel Čapek “L’anno del Giardiniere”
«Nonostante le apparenze, un giardiniere non ha origine da un seme, da un virgulto, da un bulbo, da un tubero e nemmeno per margotta». Ci tiene a chiarirlo fin dall’inizio Karel Čapek (1890-1938) nel prezioso libricino L’anno del giardiniere.
Ben diverso però è l’almanacco di un autentico giardiniere da quello di colui che segna il tempo nei giorni di un comune calendario. Del resto ormai poco accomuna il tempo dell’uomo dei campi e dei giardini a quello degli esseri urbanizzati. Il giardiniere è il suo giardino, in simbiosi con il suo tempo fatto di stagioni e superbi colori, grandi fatiche e infinita dedizione. Nel suo mondo tutto ha un compito, un senso, un nome. Mese dopo mese, fioriscono, muoiono, si riproducono, seccano, inaridiscono, esseri complessi e meravigliosi, dai nomi fantastici: polygonum, dictamus, onopordon, antennaria dioica, bahia, onosma; piccoli insetti e creature nuove; le piogge e i venti, il sole torrido e la brezza leggera. Di questo e di molto altro è fatta la vita di un autentico giardiniere.
Questo volumetto, edito da Sellerio, è assai diverso da tutti gli altri scritti che su questo stesso argomento di sono susseguiti. Čapek ha dalla sua una profonda ironia che ne fa un caso a parte. Basti pensare a libri come Racconti tormentosi, La fabbrica dell’Assoluto o Il Libro degli apocrifi per capire che lo scrittore boemo non avrebbe potuto scrivere un semplice manualetto su fiori e pianticelle. I disegni del fratello Josef che costellano le pagine dell’almanacco vivono anch’essi di una ironia leggera. (Josef non fu soltanto pittore, ma con il fratello fu autore nel 1925 del volume Della vita degli insetti).
Vige un vero e proprio “diritto canonico” dei giardinieri che impone ad ogni stagione, ad ogni mese, un diverso e nuovo compito. Vige una profonda sapienza in queste pagine, la sapienza di un bulbo che cresce, di un albero che gemma, del fungo che abbraccia altre radici nel silenzio della terra. Vige la bellezza di uno spicchio d’autunno e del manto bianco che conduce al sonno. Stagione dopo stagione, lo scrittore annota, redige, commenta, ora con partecipe passione ora con sorridente distacco, tutto ciò che cresce e muore sotto i suoi vigili occhi. Le sue mani vangano, recidono, seminano, accudiscono specie rare e comuni tutte con la medesima solerzia e amore.
Ci sono vari tipi di giardinieri, suddivisi in sette e fazioni diverse, a volte in aspro contrasto tra loro; i coltivatori di cactus ad esempio appartengono a quei settari che conoscono segreti sui cactus che mai e poi mai sveleranno e sempre pronti ad accapigliarsi sul tipo di terreno e d’innaffiatura di una echinocactus myriostigma. Nell’infinito universo dei cactus ci sono piante simili a ricci marini o a zucche, altri ricordano artigli o baionette, altri ancora brocche o berretti da prete. Sono duri e armati, sembrano guerrieri e nessuno li può toccare. Ma nonostante il burbero aspetto ed il suo essere spinoso anche un cactus ha un cuore e il suo raro fiorire dimostra al suo giardiniere che le cure e le attenzioni sono gradite. Ma la varietà dei settaristi, ci ricorda Čapek, è pressoché infinita. Ci sono i bulbisti devoti ad esempio al culto dei tulipani o dei narcisi, ci sono i primulisti dediti naturalmente soltanto alle primule, i dalisti, i rosisti, i crisantemani. Ci sono anche coloro che dedicano la propria esistenza agli ibridi e sperimentano; chi invece si conferma un purista. Tante religioni per un’unica terra.
Un vivace capitoletto a parte sui germogli, sulla loro essenza, sullo loro marcia festosa verso il fiorire, prende il via con i sambuchi; seguono i plotoni dei ribes, poi tocca a peri e meli. I germogli marciano senza sosta, disciplinati, a tempo. Una corsa verso la nascita colorata: rosso intenso, marrone o bianchi o addirittura viola. «Alcuni si gonfiano carnosi, ricoperti di peluria e tracagnotti come cuccioli; altri si tendono in una rigida e magra punta; altri si aprono in codine arricciate e fragili». Porgendo attenti l’orecchio si potrà udire «pian piano risuonare l’infinita marcia dei germogli».
Anche i migliori giardinieri hanno dei nemici e sono innumerevoli, i merli, i passerotti, gli insetti, i pidocchi, i bruchi e persino i bambini.
Un capitoletto spassoso è dedicato alla botanica, o meglio alla topografia botanica. Si tratta di quelle piante che “arredano” i nostri luoghi più comuni. Sono gruppi botanici che si ripetono e conducono Čapek ad una sorta di studio comparativo. Nelle stazioni ferroviarie troviamo, ad esempio, due sottoclassi: la vegetazione della banchina e quella del giardino del capostazione in cui sono presenti viole, caprifoglio, mentre geranei, nasturzi o petunie decorano le banchine. I signori cantonieri hanno poi un diverso tipo di vegetazione nei loro giardini fatta di girasoli, dalie, malvarosa. Senza contare tutto ciò che cresce spontaneo fra i terrapieni della ferrovia. Ma le specie sono infinite perché infiniti sono i luoghi. La flora, ad esempio, che cresce nelle vetrine delle macellerie è fatta di piantine di cactus che proliferano tra cosciotti di maiale, abbacchi e salumi. Quelle delle osterie è costituita principalmente da vasi di oleandri posti all’ingresso, mentre nei ristoranti di qualità superiore crescono anche la begonia, la dracena il filodentro. Ma, nota Čapek, nulla sembra crescere nelle panetterie, nelle botteghe di ferramenta o cartolai, o nelle rivendite di automobili.
Ma il nostro giardiniere non dimentica che oltre alla vita anche la morte necessita dei suoi vessilli floreali. C’è una classe botanica tutta particolare, con le proprie leggi: quella cimiteriale. Essa condivide molte specie con quella celebrativa; allori, corone, palme si contendono il primato. Insomma per lo scrittore ad ognuno il proprio fiore che lo rappresenta: «è possibile che esista o si diffonderà una particolare flora comunista oppure la flora del partito popolare. Grande è la ricchezza del mondo; ogni attività commerciale, e perfino ogni partito politico, potrebbe avere la sua propria flora». Ancora una volta, Čapek non aveva sbagliato di molto.
Patrizia Parnisari
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Karel Čapek
L’anno del giardiniere
A cura di Daniela Galdo
collana La memoria
Sellerio editore Palermo 2021
Brossura fascicoli legati
120 x 168 x 10 mm
163 pp
170 gr
14,00 €
ISBN 9788838942686