RECENSIONE: Michail Zoščenko “Racconti sentimentali e satirici”
Quanta ingordigia, meschinità, furfanteria in questi racconti. Quanta piccineria e mediocrità. Ritratti grotteschi di un’umanità sempre uguale a sé stessa. In questi brevi, brevissimi, racconti pubblicati in ordine cronologico dal 1922 al 1946, Michail Zoščenko ci consegna con ironia ed umorismo la realtà di quegli anni difficili. In Racconti sentimentali e satirici, lo scrittore russo riassume tutta la propria vita in pochi punti essenziali: arrestato, 6 volte; condannato a morte, 1 volta; ferito, 3 volte; suicidato, 2 volte; picchiato, 3 volte. Niente di più, niente di meno. Nel racconto, Io, l’ideologia e qualcosa d’altro, mette a fuoco in modo beffardo il suo orientamento politico elencando ciò che non è: non è comunista, né socialrivoluzionario, né monarchico o altro. Si dichiara semplicemente un russo, politicamente amorale. Non crede in Dio perché recarsi in chiesa a pregare un quadro dipinto è semplicemente ridicolo. Non si considera un mistico. Non riconosce parentele di sangue ed ama soltanto la Russia contadina. Ma «per il loro slancio complessivo, mi sento più vicino ai bolscevichi. E son disposto a bolscevicare con loro. E chi altro potrebbe essere bolscevico se non io?».
Michail Zoščenko ebbe non pochi problemi con l’apparato del potere e la sua esistenza fu scandita, per questo motivo, da alti e bassi, passando da periodi di lavoro intenso a lunghe e ricorrenti crisi depressive; tra entusiasmi e duri ostracismi da parte dei suoi lettori e della critica. Come ricorda Sergio Pescatori nel saggio Significato di un nome, riportano nel volume, alterne vicende vedono Zoščenko paragonato ora a Gogol’, Čechov e Bulgakov, ora a scrittori umoristici minori o di poco conto. Ma se il suo talento non fosse stato rilevante, il potere sovietico non lo avrebbe ostacolato pesantemente; in lui vedeva un nemico che aveva un seguito enorme nel popolo. Tra il 1943 al 1946 inizia la persecuzione nei suoi confronti, perché scrittore “politicamente dannoso”. Sono gli anni bui dello stalinismo, della censura e repressione del famigerato Andrej Ždanov che tra i racconti di Michail Zoščenko si accanì particolarmente su Le avventure di una scimmia.
Perché Michail Zoščenko scrive racconti umoristici? Per scelta forse? No, spiega in Una storiella ridicola. Soltanto perché tutti chiedono a gran voce soltanto racconti che facciano ridere: e lui narra la vita autentica perché nulla c’è di più comico della vita d’ogni giorno, di quella reale. Ma nel Partito si richiedono, al contrario, serietà e impegno. Nel racconto Un bel colpo c’è chi di ridere proprio non ha voglia: «Siccome lei, compagno, è un satirico, dovrebbe scrivere, al posto delle cosucce divertenti, qualcosa di molto pungente, che so, sui ladri, gli speculatori, i rinnegati e i truffatori. Li faccia a pezzi col suo talento». Va bene, Zoščenko lo fa; ma se i suoi personaggi vivono e cercano l’illegalità, la distorsione, la sciatta volgarità, lo scrittore russo userà un linguaggio che ad essi si confà. Sarà una lingua russa distorta, elementare, una lingua corrotta, dove le parole sono banali, sgrammaticate, dove i verbi hanno una funzione approssimativa, dove tutto spinge verso il basso. «Se storpio la lingua è perché voglio trasmettere il tipo che mi è necessario» (Io, i critici e il mio lavoro). Zoščenko in questo è un maestro perché riesce a rendere ridicola qualunque situazione. Le sue frasi sono concise, molto brevi e per questo “accessibili ai poveri”. Ma la critica lo snobba, lo considera soltanto un umorista, uno scrittore che pur di far ridere è disposto a combinare «qualunque diavoleria con la nostra cara lingua russa».
Ed è proprio così; egli non tarda a prendere il giro anche “la cara lingua russa” nel raccontino Linguaggio da scimmie. «Difficile, sta lingua russa, cari cittadini! Mamma mia se è difficile… Prova un po’ a spiccicare una frase in russo: mamma mia. Tutto il discorso è cosparso di parole con significati stranieri, nebulosi. Così s’inceppa il discorso, s’infrange la respirazione e si strapazzano i nervi».
Non manca naturalmente la satira sull’entusiasmo del regime verso ogni forma di progresso e radioso futuro della tecnica. Elettrificazione è un bellissimo racconto sui “danni” che la scoperta e l’uso dell’elettricità comportano. Certo, ammette il protagonista, è una faccenda di grande importanza «illuminare con la luce la Russia sovietica», ma un aspetto negativo c’è, eccome! Tutto è diventato più chiaro, ma non nel senso della luminosità, ma in quello della realtà. Tutto si mostra nel suo squallore. Quando l’omino torna a casa la sera ora può accendere la luce, ma cosa vede intorno a sé? Solo miseria: la tappezzeria vecchia e strappata, una scarpa rotta buttata lì, una cimice che trotta per nascondersi alla luce, una pulce che salta qui e là, e poi straccetti e polvere; persino il canapè che sembrava essere un buon compagno da riposo ora splende in tutta la sua rovina. Tutto ciò che all’epoca del petrolio era nascosto, con il progresso si mostra e fanno capolino spaventose sventure e povertà. Anche la padrona di casa è affranta, non riconosce più la sua cucina, adesso ci sono soltanto muffa e rovina. Le si stringe il cuore. Ma allora a che serve, si chiedono, illuminare tutta quella miseria?
Persino il grande Gogol’ se fosse vissuto nell’epoca di Zoščenko sarebbe stato illuminato da una luce che ne avrebbe deformato l’opera. Nel divertente racconto Il compagno Gogol’ Zoščenko spiega che Nikolaj Vasil’evič avrebbe ricevuto dallo Stato soltanto una misera camera ammobiliata in cui vivere, sarebbe stato costretto a scrivere articoletti o magari a tenere una rubrica in qualche giornale dal titolo Scarafaggi nella pasta e andarsene in giro con un camiciotto grigio alla Tolstoj. Ma anche in questo caso la critica “gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi”. Ecco cosa avrebbero scritto di lui: «Adesso, sto demonio peloso, lo sistemiamo noi. Non abbiamo ancora letto le sue cosette, ma lo sentiamo che lo sistemeremo… Soprattutto, sto demonio schifoso, fa uscire la raccolta completa delle sue opere… spreca la carta, quando invece le cooperative non ne hanno neanche un po’ per incartare, e per di più se ne va in giro tutto gogolante». E’ dura, compagni, fare lo scrittore, chiosa Michail Zoščenko alla fine di questo falso proclama.
Ma non è l’unico mestiere difficile nell’era sovietica. Che dire del capocaseggiato! È una carica molto, molto seria e impegnativa, una vera e propria carica statale. Deve essere uno «di zucca fina, filosofo, psicologo» e tanto altro. Come riuscirebbe infatti un uomo senza tutte queste doti a far rispettare l’ordine tra tutti i suoi inquilini? Impossibile. Deve avere fiuto per individuare ogni tipo sospetto, chiunque offenda con il suo comportamento e le sue parole il partito. Ogni inquilino in realtà è sospetto e se non lo è ora potrebbe diventarlo. Per questo il capocaseggiato Konjučkin tiene d’occhio scale, appartamenti, portoni: all’interno 48, ad esempio, vivono due ragazze da sole e questo non è bene; poi c’è un disoccupato che se ne va in giro al cabaret e la notte torna a casa addirittura in macchina: ma dove li prende i soldi? Bisogna indagare informarsi denunciare. E le donne che circolano con quei cappellini e stivaletti, chi ricevono in casa? Chissà quanti parassiti si aggirano tra quelle mura. Quanti nemici del Partito mascherati da inquilini modello! Konjučkin deve mettere fine a quello sconcio. Deve incassare soldi, stabilire tariffe. E quando poi arriva il Carnevale la faccenda si fa seria. Chi ha il compito di decidere se si possono cuocere le frittelle? Il capocaseggiato naturalmente che incarnando il potere sa a quali doveri e piaceri si può assolvere e a quali no. (Adesso sì che è chiaro) Per questo a Carnevale c’è sempre grande tensione tra i condomini e l’unico modo per essere sicuri che sarà consentito mangiare frittelle è mandare uno dei condomini a spiare dalla finestra per vedere se il capocaseggiato o sua moglie le stiano friggendo. Ma se il tavolo da cucina è vuoto e non si sente il profumo di dolcetti fritti non resta che rinunciare. «È permesso a un cittadino sovietico darci dentro con le frittelle? O è un pregiudizio religioso?».
Patrizia Parnisari
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Michail Zoščenko
Racconti sentimentali e satirici
Collana Compagnia Extra
Traduzione di Sergio Pescatori
Quodlibet Macerata 2020
Brossura fresata
120 x 190 x 31 mm
330 gr
379 pp
18,00 €
ISBN 9788822904775