RECENSIONE: Nikolaj A. Berdjaev “Gli spiriti della rivoluzione russa”

RECENSIONE: Nikolaj A. Berdjaev “Gli spiriti della rivoluzione russa”

Proviamo ad immaginare un’imponente rivoluzione, in un Paese smisurato, «una terra che occupa metà del globo», guidata dagli spiriti di tre uomini grandiosi. Aggiungiamo «un popolo ardito» che non conosce limiti, un’epoca di grandi rivolgimenti storici e culturali e il trionfo, tra ridondanze e fragori, sembrerebbe assicurato. Eppure, secondo il filosofo russo Nikolaj Berdjaev (1874-1948), che molte pagine ha dedicato all’analisi della rivoluzione e dell’intelligencija del proprio Paese, le cose non sono andate per il verso giusto. Tutta colpa di spettri e fantasmi, delle malefatte ideologiche di tre uomini imponenti: Gogol’, Dostoevskij e Tolstoj. Ad essi va attribuita la responsabilità dell’ “orribile catastrofe” e dell’abisso tenebroso nei quali la Russia era precipitata con la rivoluzione.

È nei personaggi di Gogol’, nella dialettica metafisica di Dostoevskij e nelle valutazioni morali di Tolstoj, che il filosofo rintraccia la causa di calamità e disgrazie apportate dalla rivoluzione, fino a trasformare il Paese in un corpo morto. E infatti, egli non individua tra le fila dei rivoluzionari bolscevichi anime nuove, ma soltanto “anime morte”, ispettori generali, brutti ceffi, uomini dal ghigno mostruoso; l’eterno gogoliano si perpetua instancabile e il potere di questo fantasma è immenso, schiacciante: «gli spiriti malvagi visti da Gogol’ nella loro staticità, si sono liberati dai ceppi […] e hanno un campo d’azione ancor più vasto che ai tempi dell’autocrazia», quella famigerata autocrazia a cui, secondo Berdjaev, il popolo russo da sempre attribuisce la colpa di ogni male al solo fine di sbarazzarsi del peso della responsabilità e potersi affidare con leggerezza alla menzogna e all’inganno che gli sono, secondo il filosofo, peculiari.

La rivoluzione russa non spezza la tradizione, anzi, la perpetua portandola alle estreme conseguenze, gravida dei vizi e delle malattie della Russia zarista. Nulla di nuovo, dunque, e così la rivoluzione può scrivere quel capitolo conclusivo che ancora mancava a Le anime morte. Gogol’ possiede il talento sinistro dello smembramento, percepisce e descrive la realtà con lo stesso procedimento usato dai cubisti e da Picasso. Ma questo smembramento disumano provoca ferite insanabili, mette in luce ogni possibile male, spezzettandolo e moltiplicandolo. Ne Gli spiriti della rivoluzione russa, Berdjaev si accanisce inutilmente e con enfasi retorica contro Gogol’, in cui la visione del Male sembra essere assoluta e che non offre neppure quelle “scivolose vie d’uscita” che, invece, Dostoevskij concede ai propri personaggi. Ad essi, con la sua sublime intuizione, lo scrittore russo ha chiesto d’incarnare e mostrare tutto ciò che la rivoluzione avrebbe in seguito portato: ogni archetipo spirituale e ideologico viene previsto da Dostoevskij dal delirio dell’eguaglianza, alla supremazia incontrastata del collettivismo contro ogni individualità. Egli riesce a snidare con anticipo miracoloso i nemici della cultura, del diritto e della libertà in nome d’una ipotetica felicità universale sintetizzata nelle parole del Grande Inquisitore: «noi li convinceremo che diventeranno liberi solo quando rinunceranno alla libertà». Egli sapeva che l’essenza del socialismo rivoluzionario del proprio Paese altro non era che essenza religiosa e lo aveva chiarito ne I fratelli Karamazov, quando annunciava che il socialismo russo non è solamente la questione operaia o quella del quarto stato, ma è un problema ateistico. Non più contesa economica e politica, ma religiosa che vuole risolvere il problema dell’esistenza o meno di Dio e fa del Partito l’incarnazione laica della Chiesa. E qui si annida la responsabilità del terzo spettro: Tolstoj. Sapendo quando fosse fertile il terreno del proprio Paese, che tende a sperimentare ogni cosa in modo trascendente e assoluto, egli ha insegnato e propugnato un massimalismo fanatico, un collettivismo irresponsabile, una passione egualitaria, negando il mondo storico e facendosi saccente assertore del bene assoluto. La pretesa moralistica di Tolstoj, asserisce Berdjaev, non conosce limiti e fa della sua dottrina qualcosa di profondamente esiziale e mostruoso; l’autore di Guerra e pace è un vero e proprio avvelenamento delle fonti dei pozzi della vita, della creatività del popolo russo e della sua religiosità. La rivoluzione atea è parricida e giustifica la scissione del padre dal figlio col delitto.

Anche Vasilij Rozanov vedeva la Russia morire «senza croce né preghiera» e per lui la farsa risiedeva anche nel fatto che l’uomo russo aveva d’un tratto rigettato la fede nell’ortodossia: «il passaggio al socialismo e quindi all’ateismo pieno si è effettuato presso muzik e soldati con la disinvoltura con cui si va al bagno pubblico e ci si annaffia con l’acqua fresca». E se Rozanov accusa per questo i russi della rivoluzione di morire da fanfaroni e commedianti, Berdjaev definisce la rivoluzione russa una tragicommedia. Va però ricordato che i nodi delle rivoluzioni occidentali sono nella sostanza totalmente differenti da quelli russi. Il socialismo rivoluzionario russo, ricorda Berdjaev, non ha mai pensato di realizzarsi quale stadio transitorio, relativo o temporale, ma sempre come assoluto. In questo, dunque, si situa fuori dal tempo e il suo carattere atemporale e astorico lo pone in un ordine trascendente, rivelando ancora una volta il carattere apocalittico dell’uomo russo. Tutta la storia del Paese oscilla tra nichilismo e apocalisse.

L’essenza “bipolare” del popolo russo è ricordata anche da Gustaw Herling, nell’introduzione al libro, anche se poi, nichilisti e apocalittici vennero fusi «in un unico amalgama e riplasmati secondo il modello dell’uomo d’acciaio sovietico». Come ogni fantasma che si rispetti, anche questi spettri ogni tanto ricompaiono. Herling individua diverse fasi di queste apparizioni e ne cita alcune: quelli adombrati da Berdjaev hanno guidato la rivoluzione russa, ma cominciano a diradarsi già nel 1926 e, poco a poco, scompaiono nel 1945. Eppure, ecco che nel 1968 i tre spettri ricompaiono sotto le vesti di scrittori quali: Sinjavskij, Dombrovskij e Platonov. Ma oggi, che ne è di loro? Quali sembianze hanno assunto?

Patrizia Parnisari

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Nikolaj A. Berdjaev

Gli spiriti della rivoluzione russa

Collana Testi e pretesti

Introduzione di Gustaw Herling

Cura di Mauro Martini

Traduzione di P. Modesto

Bruno Mondadori, Milano, 2001

Brossura fascicoli legati

170 x 105 x 8 mm

112 pp

90 gr

ISBN 9788842497398