RECENSIONE: Paul Collins “Al paese dei libri”
Tra i bibliofili, come tra gli amatori e i semplici appassionati del libro, il paesino gallese di Hay on Wye è popolare. Situato sulla frangia settentrionale dell’imponente Parco Nazionale di Becon Breacons, questo villaggio posato sulle sponde del fiume Way e confinante con l’inglese contea di Herefordshire conta poco meno di 1500 anime.
Fin dall’inizio degli anni ’60, grazie alla brillante personalità di Richard Booth, scomparso nel 2019, Hay on Wye ha cominciato a costruirsi l’identità che oggi lo contraddistingue: il paese dei libri.
In Italia, le librerie presenti al 2022 erano certificate in numero di 3640 (Associazione Librai Italiani), una libreria circa ogni tredicimila abitanti, distribuite inoltre in maniera disomogenea sul territorio nazionale. Hay on Wye conta una libreria circa ogni quaranta abitanti che però, grazie all’identità del luogo, aumentano a dismisura per l’abbondante flusso turistico.
Paul Collins non era intenzionato ad una visita turistica ma, con l’intera famiglia, avrebbe desiderato diventare residente in quel famoso villaggio. Il resoconto della precaria permanenza della famiglia Collins in quel di Hay on Way è raccolto in Al paese dei libri.
In queste pagine di ordine diaristico la parola d’ordine è leggerezza, tendenza allo humor ironico (una sbiadita controfigura di un Woody Allen sottotono), indeterminazione strategica simulata in goffaggine “simpatica”. Lontana dalla “necessità dello scrittore” ma vicina alla vanità narcisistica dello stesso (Collins non perde occasione di prodursi nello stereotipo banale dello scrittore), questa raccolta di pagine autobiografiche (talvolta indulgenti alla più infantile coprolalia) si destreggia tra ricordi, aneddoti, riflessioni e soprattutto comparazioni tra cultura europea e cultura americana, nell’ambito della quotidianità più prosaica.
Tra buone maniere inglesi a tavola (criticate), differenza sull’incidenza delle tasse sul costo dei carburanti, sottolineature sul coraggio dei quotidiani inglesi al confronto con i pavidi americani, quiz televisivi (più intelligenti quelli inglesi), disponibilità dei generi di consumo e alimentari (infinita e ininterrotta quella americana), presenza di un’assistenza sanitaria pubblica di livello e dinamica della consegna della posta (nel Regno Unito il postino ha un rapporto personale con la cittadinanza, al punto da rendersi disponibile ad esempio alla necessità di un passaggio; in America si usano le cassette poste al margine della proprietà e «se uno prova a salire sul furgoncino finisce stordito con una pistola elettrica»), il lettore potrà apprezzare l’esercizio scolastico di alcune tecniche di scrittura, applicate diligentemente.
Nell’insieme, il volume appare come il frutto degli sforzi di un iscritto alle “scuole di scrittura creativa”, il quale fa sfoggio delle proprie competenze librarie denominando i capitoli à la façon di François Rabelais ed elencando quantità di titoli secondari, che della vetustà vorrebbero far blasone: In senso orario di Madge Jenison (1923), La teoria della classe agiata di Thorstein Veblen (1899), Sconcertanti rivelazioni di Maria Monk (1836), Trattato sulla follia nelle sue implicazioni mediche di William Hammond (1883), Il nipote di vetro veneziano di Elinore Wylie (1925), Sani e belli di Shirley Dare (1890), Diario di un soggiorno in Normandia di James St. John (1831), La bambina nell’incubatrice di Ellis Butler (1906), Dizionario di Londra di Charles Dickens Junior (1884), Monetine raccolte alla stazione di S.Q. Lapius (1893), L’Olimpo dei poeti di Francis Clark Handler (1969), Reliquiae Hernianae di Thomas Hearn (1857), La nobile arte del falso di Riccardo Nobili (1922), Un uomo allo zoo di David Garnett (1924), etc.
Tuttavia, due immagini ci paiono segnatamente indovinate: in una delle prime pagine l’autore paragona i libri alle fondamenta delle cantine delle vecchie case di campagna, che non si cancellano. «I libri sono le cantine della civiltà: quando una cultura si sgretola, i libri sopravvivono in virtù della loro semplice, ottusa robustezza». E nell’osservazione sulla dote moderna dei materiali di costruzione: «il cartongesso e il truciolato non ci mettono al cospetto del sublime: la maggior parte dei moderni materiali da costruzione invecchiano male. Sono pensati per essere nuovi». Inoltre, un commento fa pensare ad una nota catena di librerie italiana: «il Cinema Bookshop è un negozio di libri usati gestito come se vendesse libri nuovi; tutto è prezzato come si deve, e non c’è verso di fare un affare. Non c’è modo migliore per togliere tutto il divertimento della caccia al libro».
Con sorpresa, rileviamo la natura dell’aspirazione di questo libro di Paul Collins nella riflessione su un altro titolo citato: «La cosa più bella della biografia di Walshe è che è del tutto irrilevante: racconta di un pio intellettuale inglese trasferitosi in Italia, a cui non succede nulla […]. Il libro è un falso senza senso e senza movente, il che lo mette quasi al di sopra di ogni sospetto». Ce l’hai quasi fatta, caro Collins…
Andrea Oddone Martin
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Paul Collins
Al paese dei libri
Collana Fabula
Traduzione Roberto Serrai
Adelphi Milano 2010
Brossura fascicoli cuciti
141 x 219 x 15 mm
320 gr
219 pp
19,00 €
ISBN 9788845924880