RECENSIONE: Piero Camporesi “Il pane selvaggio”

RECENSIONE: Piero Camporesi “Il pane selvaggio”

Un titolo come questo provoca l’intelligenza, come un’improvvisa doccia ravvivante. Sussultiamo dinanzi al penetrante tratto ossimorico: il pane, da una parte, con il suo portato di domestica ospitalità, dolce mitezza, provvido soccorso, ordine civile; d’altra parte cieca violenza, devastante furia, feroce asocialità, efferata crudeltà.

La densità semantica di questo minimo nucleo di soggetto e aggettivo si ramifica vivacemente nel saggio di Piero Camporesi, un incendio articolato attorno alla scintilla del trattato Il pane sovventivo spontenascente succedaneo intero del pane ordinario, ovvero aumentante l’istesso pane di biade, il Breve discorso teorico, e prattico di Ovidio Montalbani indirizzato agl’illustrissimi signori Senatori di Bologna, stampato nel 1648. Incontriamo il trattato del Montalbani a saggio avviato, nel 14° capitolo ma, a ben vedere, è proprio da questo singolare trattato che Camporesi trae la sua argomentazione. Egli individua i nessi giustificativi delle proposte della parte abbiente della società cittadina nel XVII secolo per annichilire, sfavorire, pilotare, scoraggiare, allontanare, debellare la parte povera.

Scandagliando la vasta pubblicistica delle testimonianze rivolte agli ultimi, alla più che folta plebe miserabile, schiava delle malattie, della fame atavica e del pregiudizio di ricchi ed arricchiti, Camporesi dipinge il quadro storico con i colori più aderenti del vero. Si inoltra con arguzia tra le pieghe intenzionali delle politiche annonarie, tra le abitudini cognitive e sociali della società secentesca, nella fallacia delle visioni perequative della classe dirigente. «Gli intellettuali, eruditi ma attenti alla realtà sociale, dell’età barocca, i medici, i matematici, i filosofi, gli uomini di Chiesa, avevano lungamente elucubrato e meditato sopra un fantomatico “pane sovventivo spontenascente”, un pane selvaggio di brughiera e di landa che potesse agevolmente sostituirsi a quello di frumento. Ignorando i meccanismi politici della fame e non discutendo neppure il principio della disuguaglianza e il problema della redistribuzione dei beni e delle risorse, essi fantasticavano in modo allucinato, sopra questo irrisolto teorema della fame, sopra questa impossibile incognita alimentare con una serietà stupefacente». La finalità sottesa a quest’attività, avanza Camporesi, sta nella volontà di disfarsi di una parte di società sgradevole, povera, improduttiva, maleodorante, indirizzandola verso i boschi e le lande desolate lontane dalla città.

Pare affine, la trattatistica dell’epoca, a certe meditazioni odierne inerenti termini come “flessibilità” lavorativa, le metafisiche “start-up”, l’”aggiornamento continuo” in luogo dell’esperienza, le pubblicitarie meraviglie del cibo-spazzatura, le “eccellenze alimentari” (inarrivabili da salari inadeguati), etc.

La ricerca di Piero Camporesi si colloca nella storiografia dell’ultimo Novecento, si allontana dagli approcci sul lungo periodo, prediligendo l’immediatezza della testimonianza diretta in luogo di grafici, tabelle e curve analitiche le quali, pur conservando uno statuto scientifico inappuntabile, rimangono depositarie di un’astrattezza e un’omogeneità scarsamente convincenti. La ricerca di Camporesi anima quel vissuto «che, umiliato e ignorato dall’analisi quantitativa, resta uno dei primari seducenti obiettivi della storiografia più sofisticata che teorizza la conoscenza del passato in chiave di scienza del vissuto».

È scorrendo le pagine degli scritti di Camporesi che ci riconosciamo finalmente nella prossimità della Storia, assaporiamo l’autenticità della sofferenza, il dramma quotidiano nel quale si fa necessario l’investimento emotivo in un immaginario fantastico, nel quale il portento, il miracolo, l’insolito appartiene all’ordine del possibile e del quotidiano. «La santa e la strega rispecchiavano le due facce equivoche, il dritto e il rovescio d’una stessa nevrotica tendenza al distacco dalla realtà». Giusto come pensare di diventare d’un colpo ricchissimi avviando una start-up o meglio, investendo in bit-coin, o perfino “grattando e vincendo”, mentre addentiamo ossequiosamente un variopinto quanto improbabile “panino” chimico, chattando sui social la nostra “felicità”.

Andrea Oddone Martin

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Piero Camporesi

Il pane selvaggio

Collana La Cultura

il Saggiatore Milano 2016

Brossura fresata

155 x 213 x 21 mm

360 gr

222 pp

22,00 €

ISBN 9788842822394