RECENSIONE: Roberto Peregalli “I luoghi e la polvere. Sulla bellezza dell’imperfezione”

RECENSIONE: Roberto Peregalli “I luoghi e la polvere. Sulla bellezza dell’imperfezione”

Imperfezione e incompiutezza governano il mondo o almeno sarebbe auspicabile che così fosse. Ma l’uomo nella sua visione distorta della vita e della realtà anela alla perfezione e alla completezza, quasi fossero raggiungibili e auspicabili. Il desiderio per un mondo perfetto e armonico aveva nell’antichità classica o nell’umanesimo ben altre e più forti motivazioni. Oggi assurge ad una dimensione grottesca in quanto i parametri di “bellezza e perfezione” sono diventati grotteschi e caricature di sé stessi. Lo sottolinea Roberto Peregalli, in I luoghi e la polvere. Sulla bellezza dell’imperfezione; non può esserci un criterio che definisca il bello se il rapporto tra armonia, proporzione e funzione del luogo sono venuti a mancare. Ormai, buona parte degli architetti progetta e costruisce secondo «una volontà di potenza incondizionata. Manca completamente un collegamento con il passato dei luoghi, con la loro temporalità». Ci sono edificazioni abnormi e terribili costruite in luoghi come sospesi, senza radici, come Dubai o Astana, che vengono follemente edificati in una gara che celebra e soddisfa l’ego malato e ipertrofico di architetti senza storia. «Svettano le loro costruzioni gigantesche come un “lego” impazzito e luccicante… Trasudano soldi e potere. Il lusso basato sul nulla». L’architetto dovrebbe, al contrario, costruire affinché la sua opera sia armonizzata con il contesto, non deve essere gridata, ma sussurrata; esiste la memoria del passato che non va cancellato o sopraffatto con arroganza. Tra i molteplici esempi riportati dall’autore c’è il destino toccato alla Postdamer Platz: dove era il vuoto lasciato dalle rovine della guerra, testimonianza forte ed incisiva, ora si erge beffardo e irriverente un «luna park luccicante di edifici altissimi, il giocattolo splendente dell’architettura contemporanea». La potenza della lezione che la memoria impartisce a chi è in grado di leggerla, è stata sostituita con un giocattolo pericoloso e assai nocivo.

La tipologia del costruire, il suo alfabeto che per millenni ha guidato architetti, artigiani, inventori, è stata messa da parte ed appiattita. La casa non è più casa, gli oggetti non sono più oggetti, l’uso della luce e delle ombre non è più lo stesso; tutto è “perfetto”, lucido, funzionale, veloce, senza crepe, senza passato, senza modestia, senza quiete, iperilluminato da una luce tronfia e onnipresente. La notte è luminosa quanto il giorno. I restauri vengono eseguiti togliendo ogni traccia del passato. I corpi devo essere abbronzati, giovani, curati e, purtroppo, tatuati fino alla volgarità e cafoneria più bieche; gli abiti non conservano più alcuna differenza e dunque annullano la personalità di chi li indossa. Abiti uguali per case uguali, volti chirurgicamente uguali per pensieri uguali, materiali plastici uguali per cibi ugualmente plastificati. Ecco l’inferno, neppure il vecchio Satana accetterebbe di farne parte e se ne guarda bene. Lascia agli umani la possibilità di regredire e di costruirsi la propria dannazione quaggiù. Del resto, vista la stoltezza dell’uomo non gli riesce difficile.

Parole abusate quali design o lifting sono secondo Peregalli termini dal suono sinistro. Persino gli alberi ormai vengono piantati alla rinfusa, senza un progetto o un disegno, senza più tenere conto dell’esigenza della natura ma soltanto della nostra esigenza decorativa, del nostro design.

Molto più difficile è accettare l’imperfezione, la rovina, la polvere del mondo, la sua meravigliosa caducità. E allora «Via la polvere, via la patina, via l’ombra, via la carne di cui siamo fatti». Tutto avviene per sottrazione, lanciando i viventi in una corsa malata verso l’impoverimento. Le pagine più belle del piccolo libro di Peregalli sono dedicate a questo smarrimento, all’elogio dell’imperfezione e del caduco. Nel passato, esisteva una mimesi fruttuosa tra luoghi, abitazioni e natura che inglobava la caducità.

Ora, materiali usa e getta, che del passaggio del tempo non sanno che farsene e che dopo essere stati buttati non riescono neppure a decomporsi e morire, incarnano un destino assurdo e innaturale che ci danneggia. Le abitazioni ci ricorda Peregalli sono “vinilizzate”, la vicinanza così prossima con la plastica modifica anche il nostro modo di pensare e di agire. La vita sintetica, acrilica, umilia, offende, corrode il nostro spirito. Il ferro, la pietra, il legno, supportavano la nostra idea di deperibilità. Le cose invecchiavano, si trasformavano lentamente, si scurivano, si tarlavano, deperivano e noi con loro. Poi giungeva la morte, come per noi. Questa simbiosi proficua è cessata. Il rapporto con il tempo è fragilità e mistero: «Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di tempo. Siamo il tempo».

L’autore riporta un esempio emblematico di cosa sia salvaguardare il passato e la sua patina quale segno di ciò che è stato e può ancora essere: in Inghilterra, nell’Ottocento erano fiorite diverse scuole per diventare maggiordomi. Il compito più difficile da assolvere era quello della lucidatura degli argenti. Questi oggetti infatti inizialmente lucenti si opacizzano e anneriscono nel tempo a contatto con l’aria. Come dunque pulirli lasciando però che il tempo su di essi trascorso non venga vanificato? Pulendo e facendo rilucere soltanto la superficie, lasciando che scanalature, intarsi, e piccole forme segrete rimangano inalterate. La luce che avevano inizialmente sarà accanto al buio che si è insinuato tra le pieghe. Questo prezioso insegnamento dovrebbe governare il mondo.

In un terreno incolto alberi e piante vengono estirpati, rimossi e distrutti per costruire qualcosa totalmente privo di radici. Non si ascoltano i luoghi, come del resto non ci si pone in ascolto degli animali e neppure di noi stessi o degli altri. Questa mancanza genera incomprensione, solitudine e sopraffazione. Scriveva Rainer Maria Rilke che per i nostri avi, una casa, una fontana, un abito, un mantello, «ogni cosa era un recipiente in cui rintracciavano e conservavano l’uomo. Ora ci incalzano cose vuote e indifferenti». E dal tempo di Rilke se n’è fatta di strada verso la rovina.

Patrizia Parnisari

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Roberto Peregalli

I luoghi e la polvere. Sulla bellezza dell’imperfezione.

Collana Saggi Bompiani

Bompiani Milano 2010

Coperta rigida legatura adesiva

149 x 211 x 17 mm

290 gr

156 pp

16,00 €

ISBN 9788845284115