RECENSIONE: Sergej Dovlatov “La valigia”

RECENSIONE: Sergej Dovlatov “La valigia”

Preparare una valigia e portare con sé solo poche, pochissime cose scelte accuratamente e lasciare per sempre il proprio Paese. Ma cosa mettere dentro quel bagaglio di compensato rivestito di tela, una valigia tenuta insieme con una corda da bucato che di valigia serba ormai solo un lontano ricordo? Sergej Dovlatov ha le idee chiare; porterà con sé dei calzini finlandesi, le scarpe del sindaco, un bel vestito a doppio petto, la cintura da ufficiale, il giaccone di Fernand Léger, la camicia di popeline, il colbacco, i guanti da automobilista. Presto fatto. Ognuno di questi oggetti custodisce un ricordo ben preciso dell’esistenza dell’autore; ogni oggetto un racconto ed un titolo per l’esilarante e acuto libro di Dovlatov La valigia. Tempo addietro, sul fondo era stata incollata una pagina della Pravda con un ritratto di Karl Marx, mentre sulla parte superiore campeggiavano alla rinfusa foto di Rocky Marciano, Armstrong, Brodskij e persino della Lollobrigida in vestito trasparente. Prima di riempirla, l’uomo riflette su quella strana coppia: sul fondo Marx, in cima Brodskij: «E tra loro la mia unica, inestimabile, irripetibile esistenza».

I calzini finlandesi sono un caro ricordo di gioventù. A quel tempo per pagarsi gli studi amava commerciare in articoli più disparati con piccoli espedienti e truffe da poco, frodando impunemente ma pensando in grande. Eppure l’operazione calzino scandinavo non andò bene tanto quanto l’operazione impermeabili “Bologna”, o quella degli impianti stereo tedeschi. Investire in calzini, anche se finlandesi, si rivela una sconfitta e lo studente si ritrova soltanto un’enorme quantità di calzini di crespo di un terribile color pisello. E così li porta con sé nel suo viaggio prima di lasciare l’amata Russia.

Tra le piccole ruberie del protagonista si fanno avanti le scarpe del sindaco di Leningrado. Forse si era risvegliato il suo represso istinto di dissidente o forse semplicemente una sopita essenza criminale, fatto è che le scarpe vengono trafugare e messe nella valigia per il lungo viaggio. Ma chi non ruba in Russia? E Dovlatov ironizza sulla presunta natura russa incline da sempre al furto. E ricorda che più di due secoli prima lo scrittore e storico Nikolaj Michajlovič Karamzin, autore delle famose Lettere di un viaggiatore russo, si trovava in Francia e alcuni emigrati russi, desiderosi di aver notizie del loro Paese, chiesero a Karamzin: «Cosa succede in Russia?» La risposta dello storico fu semplice e non lasciava adito ad interpretazioni: «Rubano». Memore forse dell’insegnamento del grande storico, Dovlatov stila una esilarante e assurda lista di ruberie prive persino di ogni motivazione o bisogno. Si ruba e basta, non c’è un perché. È una spinta metafisica. Si ruba senza scopo. Si possono intascare furtivamente bulloni, viti, filati, piastrelle, qualsiasi cosa. Un’ urna elettorale, un estintore, un cartellone pubblicitario, del gesso. Furti che «in questa forma esistono solo in Russia». Dovlatov scriveva che «il senso dell’umorismo è l’orgoglio della nazione. Negli anni più tremendi e disperati non è morta tra le genti di Russia la battuta caustica e amara, ingenua e bizzarra. Ed è bello pensare che finché saremo capaci di scherzare, resteremo un grande popolo!». E allora perché non trafugare le scarpe del sindaco, metterle in valigia e portarle con sé in ricordo del proprio Paese?

Bisogna certo pensare anche ad un bel vestito da indossare per qualche cerimonia o premiazione all’estero. Rubarlo non è facile. Forse il caporedattore del suo giornale potrebbe comprargliene uno e motiva così la sua richiesta: i ferrovieri hanno le divise, i sommozzatori le mute, i custodi dei pellicciotti. Ne deriva che anche chi collabora con un giornale abbia diritto ad una bella divisa di cui andare fiero.

Non sempre però è necessario essere eleganti e un buon giaccone può diventare prezioso soprattutto se è appartenuto ad un famoso pittore comunista. Bazzicare sin da bambini una famiglia di persone colte dalle frequentazioni letterarie, artistiche, musicali è una garanzia in fatto di stile. Il piccolo Dovlatov e i suoi genitori erano amici intimi dei Čerkasov. A casa loro si recano Šostakovič, Ejzenstein, Sartre, Yves Montand e la vedova di Fernand Léger. Dentro un armadio di casa Čerkasov è custodito il prezioso giaccone; ha due belle macchie di pittura, una sulla manica e una sul colletto, ma quanto sono importanti quelle macchioline che testimoniano l’arte dell’amato Léger! E dunque in valigia! Insieme ad una camicia di popeline di provenienza rumena. Sarà un uomo davvero elegante in Occidente con il colbacco, i calzini finlandesi verde pisello, il giaccone del pittore comunista, la camicia rumena. Capi scelti con cura per ricordare una vita intera.

Ora la valigia è pronta. Ma perché non era partito prima? Perché ha atteso tanto tempo? «Forse, anelavo inconsciamente alla repressione. Capita a volte. Un intellettuale russo che non sia stato in galera non vale un centesimo».

Tra le pagine del racconto I guanti da automobilista, che subito prenderanno posto nel bagaglio, si aggira un tipetto sconosciuto. Un uomo misterioso cammina per le vie di Leningrado. Ma qualcuno lo riconosce. È proprio lui, lo Zar: è Pietro il Grande! È sconvolto, frastornato, non riconosce più nulla della città che ha fondato. Avanza verso il Nevskij Prospekt, è incredulo. Ha paura delle macchine, terrorizzato dalle cabine telefoniche. È circondato da gente ubriaca, malvestita che lo spintona e lo urta. Lo Zar ogni tanto sguaina la spada, ma non sa più perché. Poi annichilito e deluso urla: «Ma perché l’ho fatto?! Perché ho fondato questa città perversa?!»

Patrizia Parnisari

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Sergej Dovlatov

La valigia

Collana La memoria

Traduzione di Laura Salmon

Sellerio editore Palermo 2020

Brossura fascicoli cuciti

120 x 167 x 11 mm

180 gr

194 pp

12,00 €

ISBN 9788838914656