RECENSIONE: Tiffany McDaniel “Il caos da cui veniamo”

RECENSIONE: Tiffany McDaniel “Il caos da cui veniamo”

Una scrittura biografica, dedicata alla propria famiglia d’origine e particolarmente alla madre di Tiffany McDaniel, Betty “Bitty” Lou Howard. Ma è soprattutto uno spaccato sociale degli anni tra i cinquanta e i settanta del Novecento in un’America lontana dalle metropoli, nella fascia dell’Ohio in vista della catena montuosa degli Appalachi. È nella cittadina di Breathed che si stabilisce la famiglia Lazarus, una famiglia portatrice del morbo ritenuto contagioso dagli abitanti. La giustificazione pregiudiziale per infliggere crudeli violenze discriminatorie verso i componenti della famiglia il cui padre, Landon Lazarus, è autoctono ma appartiene alle tribù indigene, un nativo americano destinato perciò all’emarginazione sociale e alla miseria più nera.

Sono trentanove i capitoli de Il caos da cui veniamo, tutti introdotti in esergo da citazioni sacre a significativo contrappunto con la sofferenza dell’umanità. Capitoli attraversati da presenze famigliari ma non necessariamente, una copiosa serie di persone che diventano i personaggi di un desolante quotidiano, ciascuno portatore di una storia drammatica, brutale, atroce, fatta di soprusi, maltrattamenti, stupri, incesti, omicidi, complicità indotte, angherie e persecuzioni: una rassegna di croci esistenziali. L’alcol diventa ragione di vita nella sua funzione psicofarmacologica, ma allo stesso tempo sdogana crudeltà, violenze e visioni. Innumerevoli delitti sono perpetrati in funzione di un’abissale ignoranza, alimentata da istintività animale. In questo contesto, l’apparizione dell’amore, del dono, dell’umile felicità possiede i tratti del sogno, dell’apparizione.

La scrittura intensamente descrittiva della McDaniel riesce a mettere a fuoco la peculiare forza animista della concezione del mondo dei nativi americani, della loro filosofia primaria, della peculiare qualità relazionale tra gli esseri. Tale complessione è propria del padre di “Bitty”, Landon, dotato della tracimante immaginazione che riesce a trovare un ordine naturale e donare possibilità vitali ove non pare ve ne siano affatto. La descrizione che “Bitty” formula dell’immaginazione del padre indiano: «E la bislacca immaginazione di mio padre, be’, quella a mio giudizio gli veniva dal fatto che Dio gli aveva calpestato per sbaglio il cranio. Benché fosse stato Shakespeare ad aver forgiato il cervello di mio padre, fu quell’incidente, il fatto, cioè, che Dio vi avesse camminato sopra, che gli procurò un’ammaccatura, la traccia di un passo falso. E si possono forse evitare certe bizzarrie quando si porta l’impronta del piede di Dio?». Curiosamente, queste frasi ci ricordano la dichiarazione di un celebre autore italiano, dotato anch’esso, oltre che di una cultura sconfinata, di un’immaginazione rutilante. Giorgio Manganelli affermò: «Mia madre mi ebbe fra le mani indifeso quando ero all’inizio della mia storia: ma non si accorse di niente e mi camminò sopra storpiandomi per sempre».

L’estrema creatività e la potente immedesimazione con il vivente delle menti native americane rispetto alla unilaterale astratta consequenzialità mentale dell’uomo bianco è solo una delle argomentazioni di questo denso romanzo che tratta inoltre dell’odio profondo, dell’amicizia, del sangue, dell’amore, della condizione femminile, della colpa, della fratellanza, della distruzione e della morte. Nel romanzo si sente la presenza di John Steinbeck. Lo stesso mondo chiuso, l’analogo intreccio di sogni, gelosie, risentimenti e speranze.

In questo romanzo, lo stile della McDaniel conferma la propria energia connaturata, talvolta cerca di realizzare architetture ingenue, si propone talora in descrizioni forzatamente splatter, ripetitività (ad esempio, ogni cibo portato alla bocca provoca gocciolamenti sul mento), descrizioni particolarmente femminili (ad esempio gli abiti indossati, i colori degli ambienti domestici, i disegni degli indumenti) ma trova la sua cifra nella sensibilità paesaggistica riportando atmosfere, suggestioni potenti e soprattutto nella qualità poetica espressa dalla figura retorica della metafora. «Mi piaceva la sua risata. Era come una mano sulla pelle scamosciata», «La morte arriva come un sasso che scivola sott’acqua senza sollevare spruzzi» sono esempi di un talento inventivo importante. Chissà, sarà l’origine Cherokee?

Andrea Oddone Martin

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Tiffany McDaniel

Il caos da cui veniamo

Collana Blu Atlantide

Traduzione Lucia Olivieri

Atlantide Roma 2021

Brossura fresata

145 x 205 x 31 mm

520 gr

425 pp

18,50 €

ISBN 9791280028099