RECENSIONE: Tito Barbini “Il fabbricante di giocattoli”

RECENSIONE: Tito Barbini “Il fabbricante di giocattoli”

Simón, ragazzo dagli occhi viola e dalle idee troppo grandi, nasce da una famiglia ebrea in Ucraina, sotto la Russia zarista, nel 1891. La sua vita è un esempio tra i più puri di abnegazione e fede al pensiero anarchico. Simón Radowitzky dedica la propria esistenza agli ultimi della terra difendendoli anche con la violenza o con la propria vita, se necessario. Lo fa con determinazione, senza mai cedimenti e pagando con il sacrificio questa sua scelta. Tito Barbini ne ricostruisce la storia in un libro appassionato e a tratti commovente, Il fabbricante di giocattoli.

Simón è un bambino sensibile, intelligente che conosce le opere di Puškin, Gogol’ e Dostoevskij; è dotato di una strabiliante manualità che lo porta a fabbricare oggetti, costruzioni meccaniche e, qualche anno dopo, una bomba artigianale che cambierà il corso della sua vita. La sua infanzia, però, avrà termine molto prima quando, alla fine del maggio1899, prende forma concreta e crudele l’odio verso gli ebrei. Fu l’inizio dei saccheggi e delle violenze, delle morti e dei soprusi. E fu la volta della famiglia Radowitzky, in una tranquilla sera di Shabbat quando Simón vede dileguarsi la propria infanzia. Quando anni più tardi gli fu chiesto qualcosa sulle sue origini ebraiche rispose soltanto: «Discendo dai pogrom».

La sua carriera politica inizia molto presto, si schiera subito dalla parte dei socialisti contro lo sfruttamento e la repressione dei lavoratori e dei contadini. Scioperi, sabotaggi, scontri con l’esercito fanno sì che Simón Radowitzky entri ed esca di prigione a più riprese. Durante queste detenzioni entra in contatto con gli anarchici. Per lui sarà la svolta. A questo pensiero aderirà per tutta la vita. Ma era già stato l’incontro con l’anarchico, rivoluzionario ucraino, Nestor Ivanovič Machno, all’età di quindici anni, ad imprimere nel cuore del giovane quella fede. Rischierà più volte la Siberia e l’esilio e sarà costretto ad emigrare in Argentina. Lì dove credeva fosse la salvezza, e dove gli anarchici erano molto attivi, troverà presto l’orrore di una condanna terribile.

Il primo maggio del 1909, socialisti e anarchici avevano organizzato, a Buenos Aires, una grande manifestazione in difesa dei lavoratori. Il capo della polizia, il colonnello Ramón Falcón ordina di caricare i manifestanti con un bagno di sangue. Per un’intera settimana gli scontri furono feroci (venne poi chiamata la Settimana rossa). La ferocia del colonnello Falcón era ben nota: specializzato soprattutto nella repressione delle donne immigrate, amava far bella mostra della sua “virilità”, entrando con l’esercito a cavallo nei quartieri degli immigrati, nelle putride baracche in cui vivevano, al solo scopo di umiliarli. Non erano che alveari di piccole stanze claustrofobiche con un unico cesso per centinaia di persone, ma il sanguinario colonnello voleva mostrare ovunque la propria forza. Simón decise che giustizia andava fatta. Attese pochi mesi affinché si calmassero le acque dopo la Settimana rossa e il 14 novembre, all’alba, prese il suo borsone con dentro la bomba artigianale e «si incamminò verso il punto che prescelto per gettare il suo rudimentale ordigno addosso al tiranno assassino». La vita, pensò, gli aveva insegnato che non basta costruire giocattoli nell’infanzia; bisogna saper costruire anche bombe giocattolo in nome della giustizia. Questo pensava quando ci furono la deflagrazione ed il boato. Questo piccolo, all’apparenza innocuo, giocattolo lo condusse nel terribile bagno penale di Ushuaia.

Simón matricola 155 è solo un ragazzo quando entra nell’inferno creato laggiù nella Terra del Fuoco per i criminali più pericolosi, dove finisce la catena montuosa delle Ande. È ben voluto dagli altri detenuti ma i suoi carcerieri sanno come trattarlo: viene costantemente torturato in modo inumano e violentato in massa dai secondini. Simón è giovane e bello, è orgoglioso e non si piega a nulla, quindi è una vittima ideale da umiliare. Fame e malattie fiaccano gli uomini in quell’isola fatta di ghiaccio, uragani, venti gelidi. Ma Simón resiste sorretto dalla sua fede. Quando tanti anni prima aveva letto Memorie da una casa di morti di Fëdor Dostoevskij non avrebbe mai immaginato che esistesse un’altra Siberia alla fine del mondo e che lui vi avrebbe passato gran parte della vita fra atroci sofferenze in una Siberia parallela. Il giovane visse per diversi anni in una minuscola cella d’isolamento, dove gli fu negata la luce del giorno e l’aria. Una mezza razione di pane era tutto ciò che gli era concesso. Poi anni di carcere “normale”. Trascorse così 21 anni. Un giorno, nel 1930, arriva la notizia della scarcerazione, non prevista, in virtù di un’amnistia promulgata dal governo che cominciava a temere disordini politici e sommosse. Erano in tanti a chiedere la libertà per Simón Radowitzky, molte le pressioni. Esiliato in Uruguay, andrà successivamente in Spagna e in Messico. Per il rivoluzionario ucraino è un nuovo l’inizio. Se la dannazione di Ushuaia non lo ha sconfitto la lotta per i diritti dei più deboli sarà ancora più decisa. Gli anni a venire saranno per lui di continue battaglie per la libertà e l’uguaglianza.

La storia raccontata da Tito Barbini è incentrata soprattutto sul periodo trascorso dal giovane anarchico nella Terra del Fuoco, la fase più crudele della sua vita. Quando uscirà da quella prigione in molti saranno fuori ad aspettarlo. C’è la stampa, ci sono i fotografi. In una di queste immagini è ritratto in mezzo ad un gruppo di poliziotti mentre sta per essere rilasciato. «È elegante, in abito grigio, il cappello a larghe tese, l’aspetto vigile e nello stesso tempo cauto di chi è cresciuto in carcere e non è capace di muoversi negli spazi aperti». Le sue foto fanno il giro del mondo. Si festeggia ovunque il suo rilascio perché «Simón non era un prigioniero qualsiasi. La sua libertà non era una libertà qualsiasi».

Oggi la sua cella e l’intero bagno penale sono preda di turisti. Il racconto che l’autore fa di queste gite alla Terra del Fuoco è davvero inquietante. È di moda andare a Ushaua, farsi fotografare accanto al cartello FIN DEL MUNDO per poi tornare, con qualche souvenir, sulla nave da crociera. Ormai ogni pacchetto turistico che preveda un viaggio in America Latina comprende una veloce sosta in quel luogo di dolore. Si possono visitare le celle, girare per i corridoi, ascoltare le guide che raccontano storie e crimini raccapriccianti e dove i detenuti sono rappresentati da manichini di legno con le uniformi indossate nel patimento e nelle torture. Del resto da troppo tempo abbiamo imparato che la morte e la sofferenza sono diventati un intrattenimento turistico da quattro soldi per gruppi organizzati.

Il povero Simón sarebbe inorridito di fronte a tanta perdita di umanità e rispetto, lui che tra quelle mura aveva pagato con buona parte della sua vita per rendere questo mondo più dignitoso, più giusto). Di lui rimane una targhetta con il suo nome e numero di prigioniero, Simón Radowitzky, Convicto 155, fissata accanto allo spioncino della sua cella.

Patrizia Parnisari

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Tito Barbini

Il fabbricante di giocattoli

Collana Senza Rotta

Arkadia Editore Cagliari 2021

Brossura fresata

140 x 210 x 12 mm

190 gr

152 pp

18,00 €

ISBN 9788868513238