RECENSIONE: Vladimir Nabokov “Disperazione”

RECENSIONE: Vladimir Nabokov “Disperazione”

Una sera di maggio, verso l’imbrunire, mentre Praga in lontananza sembra affondare tra nebbie e foschie, Hermann si allontana verso la campagna desolata e brulla ad incontrare il proprio destino. Non sa che di lì a poco lo attende il suo doppio, e non un doppio qualunque, onirico o fantastico, ma uno in carne ed ossa, un vero e proprio se stesso.

Felix, questo il gaio nome del doppio non è altro che un povero barbone malconcio, dai capelli unti e la barba lunga; eppure, nel momento in cui per la prima volta gli stringe la mano, Hermann ravvisa in lui «un Narciso che riesce a beffare Nemesi aiutando la propria immagine a uscire dal ruscello». Ma una volta stanata dal ruscello la doppia immagine di Hermann, quel corso d’acqua di trasformerà in una pozza stagnante nel fitto d’un bosco oscuro e tetro, quando lo stesso Hermann consumerà il proprio omicidio nei confronti di Felix e si rispecchierà nel volto irrigidito della morte del proprio sosia non sapendo più chi tra i due sia il doppio. Nabokov, nel suo romanzo Disperazione, concede molto spazio al tema centrale del delitto, alla sua preparazione, all’esecuzione e ai motivi del suo fallimento.

Dopo l’incontro con l’altro suo io, Hermann comincia a vedersi dal di fuori: «… non riesco a rientrare nel mio involucro originario… a riaccomodarmi nel mio vecchio io». Si sente come una stanza nella quale tutto sia stato spostato e regni un gran disordine. Lo specchio diventa per lui un oggetto spaventoso. Felix comincia ad apparirgli come un doppio inquietante fino a credere che sia un parto della sua stessa fantasia.

Vladislav Chodasevič, che fu negli anni Trenta tra i migliori estimatori dell’opera di Vladimir Nabokov, considerava Disperazione uno dei migliori romanzi dello scrittore. Lo stile è vario e molto complesso, l’autore «non maschera e non nasconde i suoi artifici». Questi lavorano alla costruzione del libro e della storia tutto il tempo, come elfi o gnomi, «segano e tagliano, inchiodano e pitturano, di fronte al pubblico, montano e smontano le quinte». Nabokov ci avverte ad ogni passo di ciò che sta facendo, quali artifici stia usando e del suo paziente lavoro di scrittore, mentre il suo protagonista lavora al proprio piano criminoso allo stesso modo, con tenacia, abilità e talento.

Hermann è orgoglioso della propria opera, la giudica perfetta; egli si sente al riparo da ogni possibile errore. Il suo crimine sarà un capolavoro: «Oh, Conan Doyle! Che opportunità, che trama ti sei perso!», si pavoneggia fra sé: Dostoevskij, Leblanc, Wallace al suo confronto non sono che dilettanti nel costruire storie di delitti, si ripete tronfio. Hermann si sente un criminale lucido e perfetto. Gioca le sue mosse con fare incalzante e ossessivo, ma subirà una tremenda disfatta. Certo è abile e paziente, sa tessere bene la propria tela e fino all’ultimo istante sembra non aver commesso alcuna imprecisione. Il suo omicidio è un capolavoro. O meglio quasi un capolavoro; Hermann capisce di essere soltanto un uomo di talento ma non un genio. Ha commesso un errore e per di più ridicolo, grossolano, scontato.

Chiuso nella propria stanza poco prima della cattura Hermann-Nabokov cerca un titolo alla propria storia e dopo averci pensato a lungo ecco che con il sorriso del condannato sulle labbra e con una matita spuntata «che urla di dolore» scrive nero su bianco l’unico titolo possibile alla sua sconfitta: Disperazione.

Patrizia Parnisari

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Vladimir Nabokov

Disperazione

Collana Biblioteca Adelphi

Traduzione di Davide Tortorella

Adelphi Milano 2006

Brossura fascicoli legati

226 pp

18,00 €

ISBN 9788845920943